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Caso Pifferi, il gup: «Dalla difesa nessuna cospirazione criminale»

Nelle motivazioni della sentenza, il giudice esclude che avvocata, consulente e psicologhe abbiano tentato di condizionare il processo. «Non c’è alcun elemento concreto»

26 Dicembre 2025, 18:11

Caso Pifferi, il gup: «Dalla difesa nessuna cospirazione criminale»

«A dispetto della profondità dell'investigazione» non è emerso «alcun elemento concreto» che lasci presupporre «l’esistenza di una vera e propria cospirazione criminale» finalizzata a «condizionare a tutti i costi il processo penale» di Alessia Pifferi, accusata dell’omicidio della figlioletta di un anno e mezzo, lasciata sola in casa per sei giorni fino alla morte. Sono parole nette e inequivocabili quelle messe nero su bianco dal gup di Milano Roberto Crepaldi nelle motivazioni con cui, il primo dicembre scorso, ha assolto in abbreviato l’avvocata Alessia Pontenani, legale di Pifferi, tre ex psicologhe del carcere di San Vittore e lo psichiatra ed ex consulente della difesa Marco Garbarini. Il giudice ha inoltre prosciolto una quarta psicologa, rinviata a giudizio esclusivamente per una vicenda marginale legata a corsi di formazione, ritenuta estranea al cuore delle imputazioni.

Crepaldi ha mandato assolti tutti gli imputati dalle accuse di falso e favoreggiamento, stabilendo che l’intera strategia difensiva – compresi i contestati test sul quoziente intellettivo di Pifferi – non costituiva una manipolazione criminale, ma rientrava nell’esercizio di una funzione professionale. Una conclusione che smonta integralmente l’impianto accusatorio costruito dalla procura.

L’inchiesta, coordinata dal pm Francesco De Tommasi, lo stesso che ha sostenuto l’accusa nel processo principale contro Pifferi, era nata come costola del procedimento per la morte della piccola Diana. Quel processo si è chiuso in appello con una condanna a 24 anni di reclusione, dopo una prima sentenza di ergastolo, poi riformata. Parallelamente, l’attenzione investigativa si era concentrata sull’operato dei professionisti che avevano seguito la donna durante la detenzione, ipotizzando un disegno finalizzato a influenzare l’esito del giudizio.

Secondo la procura, Pontenani, il suo consulente Garbarini e le psicologhe di San Vittore avrebbero messo in atto una vera e propria manipolazione per far passare Pifferi per incapace, attraverso la somministrazione di test che ne avrebbero attestato un quoziente intellettivo pari a 40, quello di un bambino. Una rappresentazione che, per l’accusa, non avrebbe trovato riscontro nella realtà clinica della donna. Per De Tommasi, infatti, il test Wais non avrebbe potuto essere somministrato, poiché Pifferi «non era un soggetto a rischio di atti anticonservativi e si presentava lucida, orientata nel tempo e nello spazio, nel pieno possesso delle proprie facoltà mentali e determinata». Da qui l’ipotesi che l’obiettivo fosse quello di ottenere «la tanto agognata perizia psichiatrica» e tentare così di evitare la condanna all’ergastolo. Il pm aveva chiesto condanne severe: quattro anni per Pontenani e per una delle ex psicologhe, tre anni e mezzo per Garbarini e tre anni per altre due psicologhe.

Ma per il gup l’impianto accusatorio «non stava in piedi». Nelle motivazioni della sentenza, Crepaldi afferma che «si ritiene provato» come il test Wais, «a differenza di quanto ipotizzato» dalla procura, «sia stato realmente sottoposto» a Pifferi dalle psicologhe del carcere di San Vittore. Al tempo stesso, è risultata «priva di adeguato supporto probatorio» la presunta «falsità della diagnosi conseguente». Secondo il giudice, le relazioni redatte durante la detenzione restituiscono un quadro tutt’altro che incompatibile con l’approfondimento diagnostico. «Le relazioni del carcere (…) danno conto delle difficoltà» della donna «di accettare quanto era accaduto e le proprie responsabilità - quantomeno sul piano etico-morale, tralasciando l’aspetto giuridico - e descrivono un comportamento della detenuta suggestivo di problematiche di adattamento o anche di possibili deficit». A questi elementi si aggiungono due fattori ritenuti decisivi: la «inaudita pressione mediatica» che ha accompagnato il caso fin dalle prime fasi e il rischio suicidario. Circostanze che, secondo Crepaldi, hanno spinto «non le odierne imputate, ma lo staff della casa circondariale di San Vittore» a prestare «particolare attenzione» alla detenuta e a scegliere di sottoporla «ad un test che consentisse di valutarne le risorse e il funzionamento». Una scelta, dunque, dettata da esigenze di tutela e di valutazione clinica, non da finalità processuali occulte.

Il gup ha poi escluso in modo netto anche il movente ideologico “catto-comunista” ipotizzato dalla procura, ritenendolo privo «di fondamento probatorio». Secondo l’accusa, le psicologhe avrebbero cercato di «interferire con il processo in corso, “salvando” la Pifferi dal proprio destino», ossia dall’ergastolo. Ma di tutto ciò, scrive il giudice, non vi è traccia negli atti. Al contrario, le «numerose comunicazioni intercorse tra le imputate riguardano proprio la preoccupazione» di non influenzare il fronte processuale.

Smentita anche l’ipotesi che Pontenani e Garbarini avrebbero «istruito» Pifferi - da qui l’accusa di favoreggiamento - «su quanto avrebbe dovuto dire ai periti» e al professionista che le ha somministrato il test. Le intercettazioni, rilette complessivamente, non confermano alcuna attività di indirizzo o manipolazione delle dichiarazioni. «Numerosi argomenti - ha scritto Crepaldi - convergono nel far ritenere doveroso l’emissione di una sentenza di assoluzione» per tutti gli imputati, poiché «a dispetto della profondità dell’investigazione svolta nel corso delle indagini preliminari in relazione alla mole degli atti acquisiti, all’ampiezza dell’apporto tecnico richiesto ai consulenti, dell’utilizzo di tecniche di indagine particolarmente invasive (…) molteplici sono le carenze riscontrate sul piano probatorio». Una conclusione che sancisce, ancora una volta, che la difesa non può trasformarsi in reato.