Martedì 23 Dicembre 2025

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Toghe e social, ok dalla Corte europea. «Ma servono limiti»

Post, like e opinioni politiche dei magistrati: la Cedu chiarisce quando la libertà di espressione è tutelata e quando può diventare un problema

23 Dicembre 2025, 19:15

Toghe e social, ok dalla Corte europea. «Ma servono limiti»

Social senza più freni per le toghe. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha infatti affermato che i magistrati devono essere liberi di postare sui social media le loro opinioni, a patto però che non parlino di casi in corso e che non compromettano l'autorità e l’indipendenza della giustizia. Inoltre, prima di essere sanzionati, le autorità disciplinari dovranno attenersi a criteri quanto mai stringenti. È ciò che ha stabilito una sentenza della Grande Camera, definitiva, nei confronti della Romania.

La vicenda nasce dal ricorso di un magistrato rumeno sanzionato dal locale Consiglio superiore della magistratura per due post su Facebook, pubblicati nel gennaio 2019, ritenuti in contrasto con la condotta che una toga deve tenere anche lontano dai palazzi di giustizia. Prima di entrare nel merito della vicenda, la Cedu ha fatto una premessa: «Laddove la democrazia o lo stato di diritto fossero gravemente minacciati, i giudici hanno il diritto di esprimersi su questioni di interesse pubblico (...) le osservazioni formulate in tale contesto godono generalmente di un elevato grado di protezione». Poi ha stilato una serie di criteri che devono guidare chi decide riguardo le eventuali sanzioni nei confronti dei magistrati per i loro post sui social.

La Cedu sul punto ha affermato che devono essere considerati innanzitutto il contenuto e la forma dei messaggi postati. Poi si deve «prestare particolare attenzione al contesto in cui sono stati formulati e alla posizione ricoperta dal giudice o dal pubblico ministero che li ha pubblicati». Qui la Cedu specifica che seppure «i giudici e i pubblici ministeri che ricoprono determinate cariche nell’ambito del sistema giudiziario, come il presidente di un tribunale, il procuratore capo, godono di una maggiore tutela della loro libertà di espressione, poiché le loro dichiarazioni pubbliche sono molto spesso motivate dal desiderio di preservare il sistema giudiziario, questo non significa che i giudici e i pubblici ministeri ordinari, che non ricoprono cariche specifiche all’interno del sistema giudiziario e non parlano in alcuna veste particolare, non possano esprimere pubblicamente le loro opinioni su questioni di interesse pubblico».

La Corte di Strasburgo ha quindi precisato che dovranno necessariamente essere considerate «le conseguenze dei messaggi postati», cioè gli effetti negativi, nel loro complesso, che i post di un magistrato abbiano comportato o potrebbero comportare. Deve infine essere esaminata con grande cura anche «la natura e la gravità della sanzione e l’effetto dissuasivo che può generare su altri magistrati» e le garanzie procedurali concesse al magistrato sottoposto a un procedimento disciplinare. «Questa sentenza è il miglior viatico che ci potesse essere per i magistrati che stanno facendo campagna elettorale per il No al referendum costituzionale», afferma il professore Pieremilio Sammarco. «Il prerequisito del magistrato è essere terzo ed imparziale: difficile non pensare il contrario quando egli pubblica post critici nei confronti dell’esecutivo non facendo mistero della propria militanza politica», aggiunge Sammarco.

In Italia, va detto, si discute da circa una decina di anni, senza grandi risultati, su come regolamentare il rapporto magistrati-social. Il primo era stato nel 2017 Pierantonio Zanettin, ora capogruppo di Forza Italia a Palazzo Madama e all’epoca componente laico del Csm. Zanettin, proprio perché il magistrato non è un cittadino come tutti gli altri in quanto «il suo ruolo gli impone di non lasciarsi andare a commenti e giudizi sconvenienti che possano comprometterne la terzietà ed imparzialità e che non possono essere giustificati con la libertà di pensiero», aprì una pratica per individuare delle “linee guida” volte a garantire che la comunicazione sui social da parte delle toghe avvenisse nel rispetto dei principi deontologici e con forme e modalità tali da non arrecare pregiudizio alla credibilità della funzione. Pratica archiviata nel 2022, dopo cinque anni, in quanto l’argomento non sarebbe stato di competenza del Csm.

Lo scorso anno ci aveva pensato Ernesto Carbone, laico del Csm in quota Italia viva, a chiedere nuovamente di deliberare l’apertura di una pratica finalizzata alla “discussione e alla definizione di criteri guida per la comunicazione social dei magistrati”. «Serve fare chiarezza una volta per tutte sulla natura stessa dei social, se strumenti per l’espressione della vita privata o pubblica dei magistrati», aveva detto. Da allora non si è saputo più nulla.