Quando la ragione cede il passo all’emotività, quando la deontologia lascia spazio al voyeurismo, ecco che di nuovo intorno ad un brutale fatto di cronaca si crea l’«imbarbarimento del dibattito e il tentativo di costruire un pressing mediatico per influenzare e minare l’indipendenza della magistratura». Così denuncia il direttivo della Camera penale di Asti dopo quanto apparso su certa stampa e sui social in merito alla tragica scomparsa di Matilde Baldi, la ventenne della provincia di Asti morta dopo essere stata travolta in autostrada da un’auto lanciata a oltre duecento chilometri orari. Un impatto violentissimo, al centro di un’inchiesta della procura piemontese che vede due automobilisti indagati: tra le ipotesi, quella di una gara di velocità.
Dopo l’orribile accaduto, su alcuni giornali è comparso anche il volto di uno dei due uomini coinvolti. Una sorta di foto segnaletica che ha iniziato a circolare su Facebook accompagnata da commenti come questo: “Stramaledetto! Così lo guardiamo tutti in faccia, si dice persino in certi articoli che sia irreperibile quindi nascosto come un verme”. E ancora: “Tristemente costretti a sperare che il padre venga a conoscenza dell'identità dell'assassino e ...provveda. Non abbiamo più alternative, presi a sputi in faccia ogni giorno da una magistratura inerme e da parassiti che delinquono”; “se il giudice non li da lergastoro ..ci penseranno qualcuno a fare giustizia”; “A questi 2 piccoli imprenditori e piccoli uomini farò il possibile per non compare nulla dalla loro attività. Non finanzio gli avvocati degli omicidi “stradali” e non”; “in certe situazioni vorrei vivessimo in un paese dove è prevista la pena di morte…”. E potremmo riempire pagine e pagine con questi insulti.
Secondo i penalisti astigiani, presieduti da Davide Gatti, sono «assolutamente deprecabili le parole rivolte ai soggetti processuali, avvocati e magistrati, tanto più se proiettate verso sentenze non ancora pronunciate e fondate su notizie che in questo momento non sarebbero divulgabili e, soprattutto, non sono verificate». Se è vero «che è legittimo e doveroso per i giornalisti dare una notizia, è altrettanto vero che appare scriteriato fornire informazioni sbagliate (ad esempio: le pene previste in questo caso!) e notizie relative a significativi dati del tragico sinistro stradale che al momento sono indiscutibilmente coperti dal segreto istruttorio e che solo una perizia, non ancora nemmeno iniziata, potrà eventualmente confermare».
Ancora «più gravi e inaccettabili», segno di quell’imbarbarimento e degrado culturale cui abbiamo fatto riferimento, «sono poi le decine di commenti che leggiamo sui social, a margine dei citati articoli giornalistici, con i quali si invoca la pena di morte, la giustizia senza processo, la consegna dei protagonisti alla folla affinché si faccia quella giustizia che, invece, la legge negherebbe». Eppure «in Italia non c’è la pena di morte! In Italia non c’è sentenza senza processo! In Italia non è ammessa la consegna al popolo dei presunti responsabili!». «Chiediamo - conclude la nota - a quella parte della stampa più illuminata e responsabile di collaborare per riportare il dibattito nei termini suoi propri, nel rispetto della legge e, prima ancora, della civiltà, omettendo colorazioni del fatto che nulla hanno a che vedere con il senso della vicenda».