«È più che probabile», fanno sapere fonti di via Arenula, che entro la fine dell’anno ci sarà un Consiglio dei ministri per fissare la data del referendum sulla riforma costituzionale della separazione delle carriere. La riunione a Palazzo Chigi potrebbe tenersi il 22 o il 29 dicembre. Dunque, in base anche a quanto previsto dall’articolo 15 della legge 25 maggio 1970, n. 352 (“il referendum è indetto con decreto del Presidente della Repubblica, su deliberazione del Consiglio dei Ministri, entro sessanta giorni dalla comunicazione dell'ordinanza che lo abbia ammesso”, e “la data del referendum è fissata in una domenica compresa tra il 50° e il 70° giorno successivo all’emanazione del decreto di indizione”), la data di convocazione dei cittadini alle urne potrebbe essere quella del 1° marzo, come ipotizzato qualche giorno fa pure dal vicepremier Matteo Salvini.
Giorgia Meloni ha comunque tempo fino al 18 gennaio per decidere, essendo l’ordinanza della Cassazione – quella con cui sono state ammesse le richieste di referendum presentate da maggioranza e opposizione – datata 18 novembre. E se si arrivasse all’ultimo, a quel punto la data del voto slitterebbe a fine marzo.
Intanto, è stata archiviata la querelle sull’emendamento presentato da Forza Italia alla legge di Bilancio che avrebbe voluto estendere anche al lunedì tutte le consultazioni elettorali del 2026. Considerato dalle opposizioni un blitz per anticipare la data del referendum, è stato poi ritirato. «Per evitare qualsiasi interpretazione» diversa «il governo farà un decreto che andrà in uno dei prossimi Cdm», ha spiegato il ministro per i Rapporti con il parlamento Luca Ciriani. Come ci ha detto in modo lapidario il presidente dei senatori di Forza Italia, Maurizio Gasparri, «ne è stata data una interpretazione falsa da parte del senatore dem Boccia».
Nel frattempo, domani alle 12 a Roma presso l’Istituto Luigi Sturzo si terrà la conferenza stampa di presentazione del Comitato promosso dalla società civile a sostegno del NO e che coinvolge Cgil, Acli, Anpi, Arci, Libera. Da quanto appreso, sia da Cgil che Anpi non verranno raccolte le firme per il referendum. Una mossa che avrebbe lo scopo di costringere il Governo ad attendere il 30 gennaio per indire la data della consultazione, ossia i tre mesi da quando la legge è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale (art. 138 comma 2 della Costituzione). Questo secondo l’interpretazione riportata anche in un recente articolo di Nello Rossi su Questione Giustizia, la rivista di Magistratura Democratica, dove veniva ripresa il pensiero di Leopoldo Elia, ex presidente della Corte Costituzionale: «La discrezionalità del governo per l’indizione del referendum è limitata alla scelta della data di consultazione popolare tra il 50° ed il 70° giorno a partire dalla delibera di indizione, una volta trascorso il tempo disponibile per le richieste da parte dei promotori».
Più aperturista sul da farsi Gianluca Schiavon, Responsabile nazionale Giustizia e Istituzioni di Rifondazione comunista: «Abbiamo reagito a un tentativo di colpo di mano del Governo rivolto a ridurre i tempi della campagna referendaria perché riteniamo fondamentale un confronto di merito più ampio possibile. I temi possono sembrare iper tecnici e, dunque, meritano il massimo approfondimento che non si verificherebbe in tempi ristrettissimi per la consultazione. Abbiamo dato la nostra disponibilità alla presentazione del quesito ovviamente non per dividere il fronte del NO, ma per favorire il confronto democratico. Resta fondamentale l’unità di questo nostro campo e attendiamo nelle prossime ore indicazioni di altri soggetti della società civile organizzata».