Niente Natale a casa per i bambini della casa nel bosco. Lo ha deciso la Corte d’Appello dell’Aquila, che ha rigettato il reclamo dei legali contro l’ordinanza del Tribunale per i Minorenni che aveva sospeso la responsabilità genitoriale a Nathan Trevillion e Catherine Birmingham e disposto il collocamento dei loro tre figli minori in una casa famiglia a Vasto. I bambini non sono soli: anche la madre si trova in casa famiglia e può vederli, per ora, tre volte al giorno, all’ora dei pasti.
Al centro della questione rimane la mancata socializzazione dei bambini, istruiti a casa dalla madre e senza contatti con coetanei. La famiglia ha fatto alcuni passi in avanti rispetto alle condizioni iniziali, con modifiche all’abitazione, ritenuta poco sicura e igienicamente inadeguata, e l’apertura all’affiancamento di un’insegnante esperta. Ma rimane il nodo della socializzazione. Nella sua ultima relazione, l’assistente sociale che da oltre un anno segue la famiglia ha descritto i primi giorni in comunità dei tre bambini e della loro madre. «Dopo un primo momento di smarrimento, i bambini si sono affidati alle cure del personale coinvolto e hanno seguito le indicazioni fornite. La prima notte trascorsa in comunità, i bambini erano piuttosto tranquilli e non spaventati, ma il loro sonno è stato turbato dalla presenza, all’interno della stanza, di oggetti di uso comune quali l’interruttore della luce (che accendevano e spegnevano ripetutamente) e il pulsante dello sciacquone del bagno». I bambini si sarebbero dimostrati incuriositi da «qualsiasi oggetto presente negli ambienti della struttura», come il «box doccia e, in particolar modo, uno dei fratelli ha dimostrato timore nei confronti del soffione della doccia».
I bambini avrebbero però anche «mostrato gioia e gratitudine», e annusato «i vestiti puliti e profumati e le persone che li circondano», partecipando «alle attività ludiche» e spesso esprimendo «il desiderio di restare al caldo». Tra le cose evidenziate anche il «disagio» nel rapportarsi agli altri bambini. «Si evidenziano deprivazioni di attività condivisibili con il gruppo dei pari, per esempio da un semplice gioco ad attività più specifiche come i compiti scolastici», continua la relazione. I bambini, dopo qualche insistenza, «hanno accettato di iniziare esercizi di grafismo e pregrafismo e sono rimasti compiaciuti e sorpresi del risultato raggiunto». Secondo la tutrice Maria Luisa Palladino, infatti, i bambini «non sanno leggere, stanno imparando ora l’alfabeto» e la più grande, di otto anni, «sa scrivere il suo nome sotto dettatura». Ciò smentirebbe quanto certificato da una scuola di Brescia, che aveva confermato un grado di istruzione adeguato.
Nei giorni scorsi gli avvocati Marco Femminella e Danila Solinas, difensori dei genitori, hanno consegnato memorie e documenti per dimostrare il cambio di rotta da parte della famiglia, che ora sarebbe disponibile anche a completare il percorso vaccinale. Ma sarebbero ancora troppe le lacune, secondo i giudici, che hanno chiesto più tempo per poter apprezzare i progressi. Questo, ha sottolineato l’avvocato Solinas, non rappresenterebbe affatto una bocciatura: «La Corte d’appello doveva semplicemente limitarsi a dire se al tempo, quando era stata emessa l’ordinanza, c’erano i presupposti perché potesse farlo oppure no. La Corte d’Appello, così come fa nel 70 percento dei casi, ha detto che effettivamente c’erano questi presupposti». Tuttavia, «sempre nel corpo della sentenza si dice che sono stati tali e tanti i progressi e comunque la soluzione alle problematiche predisposte dai coniugi, dai genitori, tali da avere una sufficiente probabilità di essere valutata in modo positivo dal Tribunale», ha concluso Solinas. C’è quindi la speranza di un futuro ricongiungimento.
Ma la cautela e la sobrietà dei legali non ha evitato polemiche politiche. «Per questi giudici una sola parola: vergogna - ha tuonato il vicepremier Matteo Salvini -. I bambini non sono proprietà dello Stato, i bambini devono poter vivere e crescere con l’amore di mamma e papà!». I bambini non sono però nemmeno proprietà dei genitori, secondo la legge, bensì soggetti di diritto. Immediata anche la reazione della ministra per la Famiglia Eugenia Roccella, secondo cui la decisione di separare i figli dai genitori «dovrebbe essere assunta solo in casi estremi e di fronte a pericoli vitali». L’allontanamento, invece, avrebbe «conseguenze psicologiche» «destinate a durare». Commenti che sembrano prescindere dal merito dei provvedimenti e, dunque, dalla possibilità che proprio di extrema ratio si sia trattato.
A replicare è stata Elisabetta Piccolotti (Avs), che ha chiesto il rientro dei bambini in famiglia solo a condizione che siano garantiti istruzione e socialità, sollecitando al contempo un intervento del ministro Valditara sulla scuola che avrebbe certificato l’assolvimento dell’obbligo scolastico.