A Phoenix, nel grande centro congressi dell’Arizona, la destra americana si è data appuntamento come ogni anno per il raduno di Turning Point USA, l’organizzazione che per un decennio ha fatto da cinghia di trasmissione tra Donald Trump e la nuova generazione di conservatori.
Questa volta, però, l’atmosfera è diversa, l’entusiasmo latita. È il primo AmericaFest senza Charlie Kirk, il fondatore carismatico, assassinato lo scorso settembre. Il suo volto campeggia su magliette e cappellini, come un martire ma il clima non è quello del raccoglimento e della fratellanza. C’è al contrario aria da resa dei conti.
Steve Bannon, anima nera del trumpismo più radicale apre le danze senza preamboli: «Siamo in guerra!», dice salendo sul palco con la sua inseparabile giacca da cacciatore. Guerra contro chi? La precisazione non arriva, ma aleggia nell’aria: contro la sinistra e le democrazie liberali, certo, ma soprattutto contro il nemico interno. Bannon parla a un pubblico che conosce bene: militanti convinti che la politica sia una battaglia esistenziale, un wresling esasperato e non un pacato confronto tra programmi.
Il bersaglio principale di Bannon è Ben Shapiro, uno dei commentatori più noti d’America, fondatore del Daily Wire , intellettuale conservatore di formazione classica, ebreo osservante, voce influente di una destra sedotta da Donald Trump ma che si vuole ancora istituzionale .Shapiro raccoglie la sfida di Bannon e dal palco denuncia i «ciarlatani» che vivono di complottismo, accusa chi diffonde menzogne su Israele e sull’assassinio di Charlie Kirk che secondo alcune teorie più estreme sarebbe stato ucciso dal Mossad. Poi scandisce due nomi: Candace Owens e Tucker Carlson.
Owens è una podcaster seguitissima, ex volto di Turning Point, diventata negli anni una delle figure più incendiarie del mondo MAGA; innamorata di complotti e cospirazioni è lei che ha diffuso la voce secondo cui Brigitte Macron sarebbe un uomo. Carlson, ex star di Fox News, oggi libero battitore, grande ammiratore di Vladimir Putin che ha intervistato nel 2024 ha una linea apertamente anti-israeliana e contesta gli aiuti dell’amministrazione al governo Netanyahu. Shapiro li accusa di aver normalizzato l’antisemitismo ospitando e legittimando i deliri di Nick Fuentes, attivista neonazista molto popolare in una parte della gioventù trumpiana.
La replica non tarda. Tucker Carlson sale sul palco poco dopo, tratta Shapiro con sufficienza, lo definisce «inutile e pomposo» e irride tutto il suo discorso. Owen picchia più forte chiamandolo «miserabile folletto», in riferimento alla sua bassa statura. Il più pesante naturalmente è Bannon che attacca Shapiro con odio e veemenza: «E’ un cancro che si diffonde nell’America», tuona tra gli applausi dei suoi fan e i fischi dei “moderati”.
In mezzo a questo scontro entra Vivek Ramaswamy, imprenditore, ex candidato alle primarie repubblicane del 2024, oggi in corsa per il governatorato dell’Ohio. Ramaswamy, che rappresenta la componente più moderata e pragmatica della convention, non ha partecipato alla gara di insulti, né si è accodato alla retorica più cupamente identitaria. Il suo discorso si è concentrato su che cosa significhi essere americani: «Non esistono americani più americani di altri, la nostra identità non si basa sul sangue ma su dei valori condivisi», spiega, criticando le derive etno nazionaliste del movimento.
L’unico che prova a elaborare un’impossibile sintesi dal circo equestre di Phoenix è il vicepresidente J.D. Vance che chiude la convention invocando l’unità nella diversità. Il suo discorso evita accuratamente di alimentare polemiche e non cita nessuno tra duellanti MAGA che si sono presi a mazzate per due giorni, rivendicando il cristianesimo come «lingua morale» dell’America, l’orgoglio restituito al campo conservatore dalla presidenza Trump, e mettendo in guardia da una guerra fratricida che indebolisca il movimento.
Come ha scritto il New York Times si tratta di un messaggio calibrato per rassicurare l’ala identitaria senza spaventare quella più istituzionale. La strategia di Vance è palese: trasformare il trumpismo in qualcosa che possa sopravvivere a Trump e tenere coeso blocco MAGA. Assorbirne l’energia populista, la retorica del riscatto nazionale, ma svuotarlo della sua componente più caotica e autodistruttiva. Le ambizioni sono evidenti, anche se non ancora dichiarate.
Erika Kirk, vedova di Charlie e oggi presidente di Turning Point Usa lo ha fatto al suo posto, promettendo che lavorerà per portarlo alla Casa Bianca nel 2028. Da parte sua Vance si è presentato come l’uomo capace di parlare a tutta la destra, un federatore, più che un capo carismatico, un erede designato, più che un rivoluzionario. Phoenix è stata una prova generale ma anche una fotografia del caos che lo attende.