Politiche Ue
Droga
C’ è uno spettro che si aggira per i corridoi di Bruxelles, ed è quello della vecchia, cara “guerra alla droga”. Lo si capisce leggendo i documenti presentati lo scorso 4 dicembre dalla Commissione europea. Sulla carta si chiama nuova «Strategia antidroga dell’Ue», ma a guardarla bene sembra più un bollettino di guerra che un documento di politica sociale e sanitaria. Un cambio di passo netto rispetto al passato che sta facendo discutere. L’International drug policy consortium (Idcp), insieme a 83 organizzazioni della società civile, tra cui diverse italiane come Forum droghe, Lila e l’Associazione Luca Coscioni, hanno scritto la settimana scorsa al Consiglio dell’Unione europea chiedendo modifiche sostanziali prima dell’adozione finale. Il problema è chiaro: la nuova strategia sposta l’asse dalla salute alla sicurezza, relegando in secondo piano quegli interventi di riduzione del danno che negli ultimi anni hanno salvato migliaia di vite in tutta Europa.
Basta leggere le prime righe del documento per capire la direzione. «L’Europa si trova ad affrontare notevoli sfide in termini di sicurezza, salute e società legate al traffico e all’uso di droghe illecite», si legge nell’introduzione. Il termine «minaccia» ricorre 35 volte nel testo, mentre il messaggio principale ruota attorno all’urgenza di «combattere» la criminalità organizzata e il traffico di stupefacenti. Un cambio di tono evidente rispetto alla strategia 2021- 2025, che aveva fatto della riduzione del danno un pilastro autonomo della politica europea sulle droghe. La nuova proposta ridisegna completamente l’architettura, introducendo sei pilastri: preparazione, salute, sicurezza, danno, cooperazione internazionale e coordinamento. Ma la vera novità sta altrove: la Commissione ha accompagnato la strategia con un piano d’azione focalizzato esclusivamente sulla lotta al traffico. Diciannove azioni concrete, tutte concentrate su controllo delle frontiere, interruzione delle rotte, uso dell’intelligenza artificiale, potenziamento dei mezzi di polizia e dogana. Zero azioni dedicate alla salute pubblica, ai servizi di prevenzione o alla riduzione del danno.
Per capire quanto sia profondo il cambiamento basta guardare dove è finita la riduzione del danno nel nuovo schema. Non più nel capitolo “Salute” insieme a prevenzione, trattamento e recupero, ma in quello del “Danno”. Potrebbe sembrare una questione di lana caprina, ma non lo è. In quel contenitore hanno messo di tutto: la guida in stato di ebbrezza, il reclutamento dei minori da parte dei narcos, persino i danni ambientali delle piantagioni. Mettere le siringhe sterili e il naloxone che salva le vite nello stesso calderone dei crimini ambientali e dello sfruttamento minorile è un grave errore concettuale. Significa stigmatizzare, confondere le acque. Significa dire che aiutare un tossicodipendente a non morire di overdose è una gestione di un “danno” inteso come problema di ordine pubblico, non una questione di diritto alla salute. E le conseguenze, avvertono le associazioni, si vedranno sui finanziamenti e sui programmi reali.
La rottura più evidente con il passato sta nel piano d’azione. Storicamente l’Unione europea ha sempre garantito che strategia e piano operativo coprissero tutti gli aspetti della politica sulle droghe. Questa volta no: le 19 azioni concrete riguardano solo il contrasto al traffico. Il documento di 20 pagine entra nei dettagli tecnici: uso dei dati di viaggio per mappare le rotte, espansione delle operazioni del centro marittimo antidroga Maoc-N, impiego di satelliti e droni per monitorare le coltivazioni illegali, partnership civili-militari per intercettare i carichi in mare.
Azioni che possono avere un senso in una strategia equilibrata, ma che qui rappresentano l’unica risposta operativa. «Invece di dare pari visibilità a ciascuno dei pilastri strategici, la Commissione ha scelto di integrare la strategia con un piano d’azione incentrato esclusivamente sulla lotta al traffico di droga», nota l’analisi critica dell’Idpc. «Si tratta di un netto distacco dalla tradizione». Il problema è che questo approccio punitivo si è già dimostrato inefficace. Una ricerca commissionata dalla stessa Commissione europea ha mostrato che gli sforzi per interrompere il traffico di cocaina nei porti di Belgio e Paesi Bassi hanno portato a un aumento del traffico e della violenza in altre parti dell’Ue. I mercati illegali si spostano, non scompaiono.
La strategia 2021-2025 aveva fatto passi importanti nel mettere i diritti umani al centro, citando esplicitamente le linee guida internazionali. La nuova proposta li cancella. Pur sottolineando genericamente l’importanza del diritto internazionale in materia di diritti umani, non menziona più nessuno di questi documenti fondamentali. Ancora più grave: il pilastro “Sicurezza” non cita i diritti umani nemmeno una volta, nonostante le prove degli effetti devastanti di molte strategie di riduzione dell’offerta.
Le alternative alle sanzioni penali e la garanzia di cure equivalenti per chi usa droghe in carcere vengono declassate o eliminate del tutto. «Il pilastro Sicurezza della strategia omette qualsiasi menzione dei diritti umani, anche se le prove abbondano sugli impatti devastanti sui diritti umani di molte strategie di riduzione dell’offerta», scrivono le 83 organizzazioni al Consiglio. Le richieste delle organizzazioni sono precise. Prima di tutto, spostare la riduzione del danno nel pilastro “Salute”, dove concettualmente appartiene.
Secondo, rifiutare il piano d’azione monodimensionale e adottarne uno nuovo che copra tutti gli aspetti della politica sulle droghe, con indicatori chiari basati su diritti umani, salute e sicurezza sociale. Terzo: reintegrare i riferimenti alle linee guida internazionali sui diritti umani e assicurarsi che tutti i pilastri, compreso quello sulla sicurezza, includano garanzie chiare sui diritti fondamentali.
Infine, garantire che la strategia promuova approcci innovativi, permettendo agli Stati membri di sperimentare alternative alla criminalizzazione invece di replicare politiche che non hanno funzionato per decenni. «L’Unione europea ha a lungo promosso un approccio equilibrato, integrato e orientato ai diritti alle politiche sulle droghe», scrive Ann Fordham, direttrice esecutiva dell’Idpc. «Esortiamo gli Stati membri a garantire che l’Unione continui a sostenere questo approccio equilibrato per gli anni a venire».
La strategia stessa riporta 7.500 morti per overdose nel 2023 in Europa. Un numero devastante che dovrebbe portare a rafforzare, non indebolire, gli interventi sanitari. Eppure la direzione presa sembra andare altrove. Il paradosso è evidente: mentre i dati mostrano un mercato illegale in crescita nonostante decenni di repressione, la risposta proposta è più repressione. Mentre le morti per overdose restano altissime, la riduzione del danno viene declassata. Mentre la violenza legata al narcotraffico diventa un problema di sicurezza pubblica in diverse città europee, non si riflette sul fatto che proprio la proibizione alimenta quel mercato violento.