Primo piano
Von der Leyen, presidente della commissione europea
«Non usciremo finché non avremo trovato una soluzione». La minaccia del presidente del Consiglio europeo Costa dà il polso della situazione. Il premier polacco Tusk aggiunge il suo carico pesante: «O i soldi ora o il sangue domani». Non che ci sia davvero il rischio di una seduta prolungata per giorni e giorni: se non si chiude presto non si chiude più e lo sanno tutti. Ma la possibilità che il Consiglio prolunghi i lavori fino a domattina è reale perché in questo caso Costa non esagera. Se l’Unione non scioglierà il nodo del prestito all’Ucraina sarà una sconfitta finale.
L'Europa perderebbe ogni possibilità di recuperare voce in capitolo e siccome almeno di questo tutti i leader sono consapevoli non succederà. In teoria bisogna trovare una strada per coprire quel prestito multimiliardario e, sempre in teoria, sarebbero in campo diverse ipotesi. Una è il ricorso agli Eurobond, al debito comune, che sarebbe la via maestra se non fosse che per i Paesi frugali, Germania e Olanda, quella strada è fuori discussione.
Un’altra è un prestito-ponte, che darebbe all’Ucraina l’ossigeno per resistere ancora un po’ e verificare la possibilità di arrivare alla pace prima di dover per forza ricorrere a una mossa estrema come la confisca dei beni russi depositati in Belgio. Infine la sola via presa seriamente in considerazione: appunto la confisca e il “prestito di riparazione” garantito dagli Stati membri. In realtà non sembra esserci alcun dubbio. Non si tratta di decidere ma di convincere gli indecisi ad accettare l’unica opzione che la Commissione e Berlino, oltre a molte altre capitali europee, considerano priva di alternative realistiche. L’esproprio, appunto. Il punto chiave non è stato affrontato ieri mattina.
Il Consiglio si è occupato di una faccenda sempre fondamentale ma meno urgente, l'allargamento dell'Unione, l'ingresso dei Paesi baltici, della Serbia e della stessa Ucraina. A una vera conclusione però i 27 non sono arrivati. Tutti d'accordo sull'importanza di accogliere Kiev e dunque, implicitamente, di riservare all'Ucraina una sorta di trattamento privilegiato. Ma sull'ingresso cotto e mangiato una posizione comune invece ancora non c'è. Gli asset sono arrivati sul tavolo più tardi e terranno banco esclusivo oggi ma già da ieri e in realtà già da giorni sono in corso frenetiche trattative con il Belgio per convincerlo a non puntare i piedi con la promessa di dividere tra tutti i paesi europei il rischio di dover rifondere la Russia se qualche tribunale internazionale giudicherà illegale la confisca.
Il premier belga De Wever però non si accontenta della garanzia sui quei circa 200 miliardi che costituirebbero il “prestito”. Chiede che non ci siano limiti né nella cifra né sui tempi e questo per il resto della Ue è un po' troppo. Zelensky, che ieri ha partecipato alla riunione e ha parlato a lungo, preme più che può. «La decisione sul prestito deve essere presa entro l'anno e il modo più giusto sarebbe l'uso degli asset russi». Ma il leader ucraino dice anche altro e dalla impostazione complessiva si evince quanto distanti siano le posizioni dell'Ucraina e della Russia. «Tra noi e gli Usa non c'è accordo né sul Dombass ne sulla centrale nucleare di Zaporizhzhia», afferma confermando così che il nodo dei territori da cedere alla Russia non è sul punto di essere sciolto. «Le truppe europee abbasserebbe le possibilità di una nuova invasione russa», prosegue pur avendo Mosca ripetuto anche ieri che quei soldati «sarebbero obiettivi militari legittimi». Soprattutto il leader ucraino non intende escludere l'ingresso del suo Paese nella Nato e per Putin quello è elemento anche più determinante del Donbass. «Oggi gli Usa sono contrari ma i leader cambiano e a volte muoiono», dice e aggiunge di essere «contrario a modificare la Costituzione». Chiaro rifeerimento alla pretesa russa di inserire nella Costituzione ucraina la non adesione di Kiev alla Nato, né oggi né mai.