Rossella Marro, presidente di Unicost, interviene in merito alla polemica suscitata trai giuristi dal primo atto del governo in materia di sicurezza e sanzioni: la norma “anti rave”.
La nostra posizione è autonoma rispetto ad entrambe. Noi siamo convinti che la magistratura non debba entrare nel merito delle scelte che spettano al legislatore. Entrare a gamba tesa su scelte che sono prerogativa del Parlamento non ci appartiene come metodo, né ci appartiene come metodo usare un certo linguaggio.
Dall’altra parte, però, i magistrati non possono essere indifferenti quando si parla di istituti giuridici, di diritti, di norme processuali. I magistrati hanno non solo il diritto ma anche il dovere di intervenire con modi consoni nel segnalare le criticità di alcuni provvedimenti in un’ottica di leale collaborazione con la politica e gli altri poteri dello Stato. Noi riteniamo che la voce qualificata della magistratura associata possa farsi sentire per evidenziare i limiti di tecnica legislativa, le difficoltà in sede interpretativa, la sproporzionalità rispetto ad altre fattispecie per quanto concerne il sistema sanzionatorio, la coerenza o meno rispetto all’assetto costituzionale.
Nel caso specifico, se l’obiettivo che si intendeva raggiungere, anche in base alle dichiarazioni fatte dagli esponenti del governo, era quello di punire i rave party pericolosi per “l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica”, esso non è stato raggiunto.
La norma presenta profili di genericità che la rendono suscettibile di applicazione anche ad altri casi che non rientrano nello scopo iniziale dell’Esecutivo. Qualunque norma, nel momento in cui viene emanata, si stacca dalla volontà del legislatore e ha una sua autonomia legata al testo. Il termine “raduno” è applicabile anche ad altre forme di riunione.
Una interpretazione costituzionalmente orientata può consentire di escluderlo. Ma un chiarimento da parte del legislatore rimane importante per rimuovere ogni possibile dubbio.
A noi non sembra che nella volontà del governo ci sia la limitazione del diritto di associarsi. Il timore è che, facendo ricorso a concetti che vanno riempiti di contenuto, la fattispecie possa presentare ampi margini di discrezionalità. C’è il rischio di attribuire alla magistratura un ruolo di supplenza rispetto alla gestione dell’ordine pubblico.
Anche il governo, con lo stesso presidente del Consiglio, ha specificato di non avere intenzione di intercettare i ragazzi. Il problema è che il nuovo reato prevede una pena alta, fino a sei anni, che di fatto lo consente. È sempre una questione di proporzionalità anche del sistema sanzionatorio rispetto ad altre ipotesi di reato.
Come gruppo ci fermiamo sul piano generale. Facciamo parte dell’Anm in cui esistono diverse commissioni di studio che si occupano di redigere pareri pure sulle norme di carattere tecnico.
Il mio gruppo, ma credo la magistratura tutta, è propensa alla depenalizzazione dei reati meno gravi perché la sanzione penale deve essere considerata una extrema ratio. Tuttavia, introdurre un nuovo reato è nelle prerogative del legislatore. Essere favorevoli a una significativa depenalizzazione non significa sostenere che non debbano essere introdotti nuovi reati.
Ripeto: la scelta di politica criminale è prerogativa del legislatore, a noi non compete entrare in queste scelte. A noi compete segnalare le problematicità nell’applicazione della norma e l’eventuale distonia rispetto al sistema.