Magistratura indipendente è il gruppo associativo uscito vincitore dalle recenti elezioni per la componente togata del Csm. Archiviata questa partita si guarda al voto parlamentare per i laici, che saranno per lo più espressione della maggioranza di centrodestra destinata a governare. Ne parliamo con Angelo Piraino, segretario di “Mi”, che rivolge innanzitutto un’esortazione: «I componenti eletti dal Parlamento vengano scelti più per la loro elevata professionalità che per la loro appartenenza politica».
Sono state elezioni caratterizzate da una ampia possibilità di scelta per gli elettori, grazie all’elevato numero di candidati che si sono presentati in ogni categoria, e mi pare che gli elettori siano stati liberi di esprimere le loro preferenze mandando dei messaggi chiari su quello che chiedono al prossimo Consiglio superiore.
Non condivido il giudizio tranchant formulato dal collega. Sicuramente i colleghi candidati perché sorteggiati hanno riportato un consenso limitato. Paradossalmente è stato eletto l’unico sorteggiato che ha una storia associativa. Tra i candidati sorteggiati ho scorto, peraltro, una contraddizione: i candidati che appartengono a un medesimo gruppo si riconoscono in una piattaforma programmatica comune, i candidati sorteggiati, invece, proprio perché estratti a sorte, hanno legittimamente idee molto diverse tra loro, eppure si sono tutti collegati, al fine di trasferire il loro consenso e consentire l’elezione di almeno uno di essi, come è avvenuto. Mi chiedo quale sia l’idea che li accomuna, a parte il sorteggio, ovviamente, e come sia possibile che il voto destinato a uno di loro possa servire ad eleggere altro candidato con idee e valori anche molto diversi.
Ritengo che applicare alla magistratura italiana le categorie di destra e sinistra sia il frutto di una narrazione sbagliata e di una semplificazione grossolana. Il nostro gruppo si contraddistingue per la strenua difesa della qualità del lavoro giudiziario, per la difesa dell’indipendenza sia interna che esterna. Il nostro rapporto con la componente laica passa per la disponibilità a ragionare sul modo di realizzare questi valori.
L’adozione di scelte di sistema, come quella della separazione delle carriere, compete esclusivamente alla politica, ai rappresentanti eletti dai cittadini. Il Consiglio superiore della magistratura se, per un verso, non può sostituirsi al legislatore nel valutare le scelte di merito, per altro verso ha il potere e il dovere di esprimersi sulle ricadute di questa scelta sull’efficienza e sulla indipendenza della giurisdizione, che sono valori irrinunciabili posti a garanzia di tutti i cittadini.
Come ho già detto il rapporto con la componente laica passa per la disponibilità a ragionare sui nostri valori. Il nostro auspicio è che il prossimo vicepresidente del Csm sia una persona autorevole, perché il recupero di credibilità del Consiglio, dopo i recenti scandali, presuppone necessariamente che i componenti eletti dal Parlamento vengano scelti più per la loro elevata professionalità che per la loro appartenenza politica.
La dialettica all’interno del Consiglio superiore è fisiologica, ma presuppone in ogni caso il rispetto reciproco. In questo momento non è possibile fare alcuna previsione, senza conoscere chi sarà scelto dal Parlamento. Il vicepresidente, invece, è una fondamentale figura di garanzia, ritengo che laddove agisse a favore di una qualunque delle componenti del Consiglio tradirebbe il proprio ruolo.
Si tratta di scelte che competono esclusivamente alla politica e al Capo dello Stato. Chiunque sia il prossimo ministro della Giustizia potrà contare sul fatto che ci impegneremo ad avere con lui un confronto istituzionale franco e leale.
Sono tante. Una importantissima è certamente l’attuazione della riforma Cartabia, che presenta molte criticità, soprattutto sotto il profilo della indipendenza interna, avendo introdotto degli indebiti rapporti gerarchici anche negli uffici giudicanti. Ma il più importante è quello di restituire serenità ai rapporti tra i magistrati e il loro organo di autogoverno, che oggi, a torto o a ragione, è percepito dai colleghi come un soggetto minaccioso e i cui percorsi decisionali non sempre sono chiaramente intellegibili.