La sentenza del Tribunale civile di La Spezia ha riconosciuto ad un ragazzo di 13 anni la facoltà di cambiare il sesso anagrafico nell’atto di nascita: da femminile a maschile. I giudici hanno accolto il ricorso dei genitori, presentato nel 2021, e disposto, dopo più di un anno di controlli, la rettifica del sesso. Il ragazzo è il più giovane in Italia ad aver concluso il percorso di transizione di genere.
La sentenza ha accolto il ricorso dei genitori, basandosi su di un complesso iter compiuto dal ragazzo: l’aver attuato un percorso psicologico presso l’ospedale Careggi di Firenze, l’essere stato sottoposto ad esami e colloqui con professionisti cosi da potere fare uso della triptorelina, l’aver infine mostrato di essere in grado di gestire il disagio sociale che tale cambiamento avrebbe potuto generare. Sono tutti fatti ritenuti dal Tribunale fondamentali per consentire di ritenere che il ragazzo abbia maturato una piena consapevolezza circa l’incongruenza tra il suo corpo e il vissuto d’identità.
La prima in famiglia a comprendere e ad accogliere le tendenze della sorella, come scrive la sentenza, è stata la gemella, che sin dall’infanzia ha visto crescere non una sorella, bensì un fratello che giocava con le macchinine, sceglieva i jeans da indossare e il taglio di capelli a spazzola. Lo ha visto diventare sé stesso e sviluppare tratti di mascolinità, al di là della sua identità di genere anagrafici. E per la sorella – come è stato anche per la madre e poi per il padre – è stato naturale riconoscerlo e accettarlo, proprio come lui stesso si è riconosciuto, un ragazzo. Ora il suo nome elettivo e la sua identità sono riconosciuti anche dallo Stato, grazie alla sentenza del Tribunale della Spezia, che ha disposto la rettifica dell’atto di nascita e dunque la riattribuzione del sesso anagrafico. Certamente il più giovane in Italia ad aver concluso il percorso di transizione di genere, da femminile a maschile, irto di molte difficoltà ideologiche e giuridiche, diversamente da molti altri Paesi.
È sufficiente menzionare il ddl 11/8/2025 del Parlamento, che - pur dichiarando l’intento di proteggere i minori e garantire appropriatezza clinica - introduce di fatto restrizioni e livelli di controllo sull’accesso ai farmaci (in specie la triptorelina) per l’incongruenza di genere. Non è solo burocrazia, ma sorveglianza, spiega a Domani Roberta Parigiani, portavoce e attivista del Movimento identità trans (Mit): «I criteri di eleggibilità non coincidono con quelli generali per la presa in carico di una persona minorenne. Un conto è la valutazione clinica di persone di 16 o 17 anni, un altro è l’accesso ai bloccanti puberali, che dovrebbe essere trattato come una fase a sé. Invece qui si fa una valutazione unica, tutta centrata sui criteri per i bloccanti, e questo restringe gravemente i diritti dei minori tra i 16 e i 17 anni. È evidente il passo indietro».
Una valutazione, quella del Tribunale spezzino, che coincide con quanto aveva avuto modo di scrivere il Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB) nel parere del 2018, ampiamente in seguito criticato dal Governo di centrodestra e dalla stampa cattolica. Né più né meno di quanto avviene oggi nei confronti della sentenza della Spezia. Di contro, il parere del CNB delinea in sintesi i benefici e i rischi dell’uso del farmaco e avanza alcune raccomandazioni ispirate alla cautela e alla valutazione caso per caso, richiamando la necessità che la diagnosi e la proposta di trattamento provenga da un’equipe multidisciplinare specialistica, che il trattamento sia limitato a casi ove gli altri interventi psichiatrici, neurologici e psicoterapeutici siano risultati inefficaci, che il percorso preveda un consenso espresso in modo libero e volontario e con la consapevolezza delle informazioni ricevute nelle specifiche condizioni fisiche e psichiche dell’adolescente, l’importanza di un’adeguata formazione del pediatra e della rete socio sanitaria di base. Sono questi i principi che hanno caratterizzato il percorso del Tribunale della Spezia, che si è avvalso di un centro specialistico di disforia di genere, quale quello di Careggi, in grado di accompagnare nel tempo il ragazzo e la sua famiglia per consentire di realizzare le aspettative nel modo meno traumatico possibile e di evitare fenomeni di stigmatizzazione e discriminazione con pesanti ripercussioni sull’adolescente che fa questa scelta dettata dalla natura.
Questa sentenza storica, in termini di precedente, ci dice che le persone possono affrontare anche da minorenni questo percorso per il cambio anagrafico del sesso, senza dover attendere la maggiore età, e che è un loro diritto decidere di intraprendere questa strada.