Martedì 23 Dicembre 2025

×

La grazia concessa a Franco Ciano ci costringe a guardare oltre la foga punitiva

Nel 2021 l’uomo uccise sua moglie Laura Amidei, malata terminale, per “pietà”: perché non ebbero altra scelta?...

23 Dicembre 2025, 17:05

giustizia

Il 22 dicembre il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha firmato cinque decreti di grazia, come previsto dall’articolo 87 della Costituzione. Tra quei cinque c’è Franco Cioni, «nato nel 1948, condannato a sei anni, quattro mesi e venti giorni di reclusione per il delitto di omicidio volontario della moglie, affetta da malattia in stato terminale e con la quale era sentimentalmente legato da cinquanta anni, commesso nell’aprile del 2021. Nel concedere la grazia che ha estinto l’intera pena detentiva ancora da espiare (pari a cinque anni e sei mesi di reclusione) il Capo dello Stato ha tenuto conto dei pareri favorevoli, formulati dal Procuratore Generale e dal Magistrato di sorveglianza, delle condizioni di salute del condannato, dell’intervenuto perdono da parte della sorella della vittima e della particolare condizione in cui è maturato l’episodio delittuoso».

Cioni era stato condannato l’anno scorso. Laura Amidei era malata terminale e il suo omicidio sembrerebbe rientrare più negli omicidi pietosi che nei femminicidi (a meno che non vogliamo usare come criterio di femminicidio il mero omicidio di una donna, indipendentemente dalle motivazioni). I giudici hanno concesso le attenuanti generiche e quella dei motivi morali e sociali. È stata anche considerata la condotta di Cioni negli anni precedenti l’omicidio. Dedizione e accudimento dall’inizio della malattia nel 2016, come anche testimoniato dal medico di Amidei e dalla sorella. Un futuro che si restringe irrimediabilmente e una sofferenza che non si riesce più a contenere. Il rischio di non poterla più assistere a casa e la contrarietà di Amidei a questa ipotesi. Dopo l’omicidio, Cioni aveva chiamato i carabinieri e si era denunciato.

Secondo il suo avvocato, Simone Bonfante, questa sentenza aveva riconosciuto un’idea condivisa nel considerare un valore morale l’interruzione della sofferenza di qualcuno malato in modo grave e irreversibile (lo scrive Valentina Reggiani sul Resto del Carlino il 2 febbraio 2024, «Sentenza Cioni, i giudici: “Uccise la moglie malata spinto da amore pietoso dopo anni di dedizione”»).

È una storia terribile. Ed è difficile immaginare cosa avremmo fatto noi o cosa si sarebbe potuto fare di diverso o prima (la sedazione palliativa profonda, la richiesta di aiuto al suicidio?). Certamente ci costringe a fermarci su alcuni dettagli – che non lo sono affatto – che troppo spesso nella foga punitiva e vendicativa tendiamo a dimenticare. Perché questo è un meccanismo comune, che va dalle risse social ai casi di omicidio: finché succede a qualcun altro, non succede a noi. E troppo di rado facciamo lo sforzo di invertire questo inutile senso di superiorità: se succedesse a noi? Che non è la stupida e feroce versione dell’identitarismo.

Non serve e non basta essere o aver fatto qualcosa per capire la disperazione e l’assenza di alternative. Ma dicevo i dettagli: il contesto e le intenzioni. Che richiedono tempo e la pazienza di non fermarsi all’ultimo atto di una catena di avvenimenti e di circostanze. Nemmeno un omicidio è mai solo un omicidio. O meglio, la sua considerazione non può essere slegata dal contesto e dalle intenzioni. È ovvio e sembra sciocco doverlo dire, ma stanno lì tutte le differenze importanti. D’altra parte anche la legittima difesa è un omicidio.

E poi c’è quell’altro dettaglio del senso della condanna e della detenzione. Forse avrei chiesto anche io di morire. Forse non soffocata perché sono fifona e il rischio di soffrire mi avrebbe terrorizzato. Forse avrebbero potuto provare a chiedere aiuto o a chiedere qualcosa di diverso? Forse lo hanno fatto e non è stato abbastanza.

È terribile non avere o pensare di non avere alternative. Ed è la condizione più pericolosa. Se le malattie sono a volte inguaribili e ci costringono a un destino che non possiamo cambiare, dovremmo avere almeno la possibilità di poter sfuggire a quel destino. Ognuno secondo i propri desideri, già compressi e ristretti.