Arriva un rimedio a metà sulla famigerata “norma anti-avvocati”, che peraltro riguarda tutto il lavoro autonomo. Con un emendamento alla Manovra firmato da Nicola Calandrini, senatore di FdI che presiede la commissione Bilancio, si stabilisce che le amministrazioni, prima di riconoscere a un professionista il compenso per un incarico pubblico già svolto, dovranno verificare se “il beneficiario è inadempiente all'obbligo di versamento derivante dalla notifica di una o più cartelle di pagamento di qualunque ammontare”. Qualora risultino pendenze, il soggetto pubblico che ha commissionato l’incarico (o che è tenuto a retribuire “attività” compiute “in favore di persone ammesse al patrocinio a spese dello Stato”) dirotterà il compenso all’agente della riscossione, “fino a concorrenza del debito risultante dalla verifica”. Al professionista saranno direttamente corrisposte solo le “somme eventualmente eccedenti l'ammontare del debito”.
Si tratta del tipico meccanismo compensativo, certamente più ragionevole della previsione iniziale, che legittimava di fatto la Pa a non pagare i professionisti destinatari di incarichi pubblici. L’emendamento Calandrini dovrebbe definire un ulteriore elemento “attenuativo” rispetto al testo originario: sembrerebbe riguardare solo i “debiti” del lavoratore autonomo nei confronti del fisco. Non dovrebbero rilevare gli eventuali mancati versamenti previdenziali, non foss’altro perché questa nuova formulazione dell’articolo 129 comma 10 della Manovra modifica specificamente le disposizione relative alle imposte sui redditi (il dPR 602 del 1973).
È un compromesso che spazza via l’aspetto più insopportabile previsto, inizialmente, nel ddl bilancio, cioè il paradossale obbligo, per il professionista, di certificare la propria “regolarità fiscale e contributiva” in allegato alla fattura. Qualora quel professionista avesse avuto delle pendenze, avrebbe lavorato letteralmente gratis, «in clamoroso spregio dell’articolo 36 della Costituzione, secondo cui qualsiasi lavoratore deve essere retribuito», come denunciato piu volte dal presidente Cnf Francesco Greco.
Il vertice della massima istituzione dell’avvocatura aveva inviato, martedì scorso, una lettera al ministro autore della norma, il titolare dell’Economia Giancarlo Giorgetti, in cui aveva fatto notare i diversi evidenti profili di illegittimità della misura. Nelle ore successive era partita, nel governo e nella maggioranza, una corsa ai ripari, alla luce delle proteste sollevate, insieme con il Consiglio nazionale forense, da altre rappresentanze professionali e dell’avvocatura in particolare: da Ocf a Aiga, Movimento forense e Ordine di Roma. Si è così arrivati all’ultimo testo, e alla compensazione con le sole eventuali pendenze tributarie. «Ma restano comunque delle ombre», fa notare al Dubbio il presidente Greco, «perché subordinare il pagamento all’assenza di debiti fiscali del professionista vuol dire, molto semplicemente, che quel professionista sarà costretto a veder compensate subito, e quindi di fatto a pagare, anche cartelle esattoriali o pendenze di altra natura che fossero suscettibili o già oggetto di contestazione. In altre parole», spiega Greco, «un avvocato che ha svolto un patrocinio a spese dello Stato, per ottenere il compenso dovrà per forza veder detratta, dall’importo a lui dovuto, la somma relativa a una delle non infrequentissime cartelle pazze. Mi sembra che resti in pericolo il diritto a difendersi in giudizio. E credo si debba insistere nel chiedere di eliminare anche questa ombra».
Lo spazio per rimediare ci sarebbe, perché basterebbe prevedere che la pubbli amministrazione possa scalare dall’onorario solo le eventuali pendenze fiscali per le quali siano già spirati i termini d’impugnazione. Che lo Stato si attrezzi per recuperare, da chiunque, quanto legittimamente gli è dovuto, è assolutamente sensato. Lo è meno una disciplina che rischia di alterare gli equilibri nel rapporto, e nell’eventuale contenzioso, fra erario e contribuente. Resta l’impressione di un intervento non calcolato adeguatamente nella sua stessa ideazione. Di modo e tempo per rimediare ce n’è, ma si tratta ormai di uno scorcio di 2025.