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Enrico Borghi, esponente del Partito democratico
Enrico Borghi, senatore “riformista” del Pd e membro della segreteria uscente di Enrico Letta con delega alla Sicurezza, spiega che «il Pnrr è di tutti» e quindi il Pd è pronto a dare una mnao in Parlamento, ma invita il Pd «a riappropriarsi di termini come impresa e artigianato».
Senatore Borghi, l’Italia rischia di perdere una parte dei fondi del Pnrr e a qualcuno in maggioranza sembra non dispiacere, anzi. Il Pd da che parte sta?
Il Pnrr è lo strumento con il quale il Pd deve reinserire nel proprio lessico le parole industria, sviluppo economico, piccola e media impresa, artigianato, commercio. Ma sul Pnrr il governo sta creando le premesse per un clamoroso fallimento, che tradirebbe la base di consenso elettorale che la destra ha sempre avuto in questi anni e che noi abbiamo abbandonato, in alcuni casi anche colpevolmente. Il tema dello sviluppo e della transizione legata allo sviluppo deve tornare a essere centrale nell’alfabeto dei progressisti e del Pd e bisogna tornare a parlare a quella parte di paese che sta per essere tradita da questa destra incapace di gestire i fondi a disposizione.
Il ministro Fitto ha annunciato che riferirà in Parlamento: siete pronti a dare una mano al governo per raddrizzare la rotta?
Il Pnrr è dell’Italia, non è né della maggioranza né dell’opposizione. Per questo ritengo stucchevoli sia la polemica di chi si attesta il merito esclusivo di aver ottenuto quei fondi sia lo scaricabile innescato da palazzo Chigi in questi giorni. Sul Pnrr bisogna mettere da parte il balletto della politica politicante e bisogna fare in modo che ciascuno si assuma le sue responsabilità. Per questo, in Parlamento siamo pronti fare la nostra parte.
È passato più di un mese dalla vittoria di Elly Schlein alle primarie e della segreteria non c’è ancora traccia: cosa si aspetta dalle prossime ore?
Apprendo le cose dai giornali. Mi pare di capire che tra partite di ping pong e incontri conviviali alla festa dell’Unità, ci sia una convergenza che conferma l’intesa raggiunta prima dell’assemblea nazionale dove è stata ratificata dell’elezione di Elly Schlein e l’elezione di Stefano Bonaccini a presidente del partito. Questa discussione legata agli assetti, oltre che appassionare solo gli addetti ai lavori, rischia di bruciare energie che dovrebbero essere messe in campo per aumentare l’opposizione a un governo che ne combina una al giorno.
Ci sono però caselle, come quella legata al responsabile degli Esteri, che rischiano di crear una frattura con la minoranza: che ne pensa?
Ripeto che leggo le cose dalle agenzie. Non sono al corrente del merito delle proposte e non esprimo giudizi sulle persone. Credo che il tema degli assetti e degli organigrammi debba sempre essere la conseguenza di una linea politica. Sul profilo dei contenuti della nostra politica estera Schlein ha avuto modo di essere molto chiara e netta e per quel che ci riguarda è andata nella posizione di confermare non solo la linea del Pd precedentemente assunta ma anche quel gruppo S& D che in Europa è sempre stato molto esplicitato nel sostegno a Kiev.
Che aria tira nel partito, dopo il commissariamento in Campania che sa tanto di tentativo di tenere a bada Vincenzo De Luca?
Sicuramente c’è l’esigenza di estirpare fenomeni di malcostume e di improprio utilizzo dei nostri strumenti di vita interna, vedi i tesseramenti gonfiati e le degenerazioni che ne sono conseguite. Questo è un esercizio che credo debba trovare tutti solidali con la segretaria. E quindi credo che nessuno di noi debba diventare il sindacalista di chi impropriamente ritiene di condizionare il partito con questi strumenti. Vorrei ricordare che fu a seguito della mia esperienza a commissario provinciale a Benevento che si introdusse, in conseguenza della vicina vicenda del tesseramento di Avellino, una procedura legata al tesseramento online che va nella direzione di assicurare trasparenza e tracciabilità rispetto a questo tema.
De Luca gode pur sempre del 70 per cento dei consensi tra gli elettori campani: come si può farne a meno?
Qui entriamo nella questione politica, che è altra cosa. E riguarda la selezione dei nostri gruppi dirigenti e il ruolo dei presidenti di regione che io non amo definire governatori. Sotto questo profilo vi è una discrasia molto profonda tra le espressioni di voto al centrosinistra alle Amministrative e alle Regionali e il voto alle Poltiche. E questo credo sia un tema che deve essere affrontato politicamente. Non abbiamo bisogno né di autodafé, né di una difesa conservatrice dell’esistente. Ricorderei a questo proposito quel che diceva Mazzini: “più della schiavitù temo la libertà recata in dono”.
Con l’arrivo della bella stagione aumenteranno anche gli sbarchi: come si possono evitare altre tragedie come quella di Cutro?
Serve una proposta organica rispetto alla visione poliziesca del governo. Il collasso della Tunisia, unito al caos presente in Libia e alle partenze da Egitto e Turchia, rischia dare vira alla tempesta perfetta. Occorre legare il tema del decreto flussi ai corridoi umanitari, effettuare un’azione straordinaria dell’Europa in Nordafrica e intervenire in maniera radicale dal punto di vista dello sfruttamento della manodopera a fini illegali da parte delle consorterie e delle mafie. Per farlo serve un’accoglienza puntuale ed integrata, trovando una corrispondenza sotto il profilo della risposta europea. Certo è che se facciamo i nazionalisti anziché fare gli europeisti, il risultato è che ci ritroviamo le omologhe finlandesi della Meloni che alzano i ponti levatoi. E così non si va da nessuna parte.