Secondo Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza politica all’Università Bologna, il sostegno di Giuseppe Conte a Matteo Lepore nelle primarie di Bologna è «una chiara interferenza» e sull’appoggio di Letta allo stesso Lepore «il segretario dovrebbe volere una competizione aperta, inclusiva e vivace, senza scegliere lui il candidato ideale».

Professor Pasquino, considerando il post Covid, che giudizio dà del flop alle primarie di Torino?

Il Pd ha le primarie nel suo statuto sia per la scelta dei candidati sia per le cariche monocratiche, e quindi le deve fare. Ma a livello locale troppo spesso molti dirigenti vogliono manipolarne l’esito o puntano addirittura a non farle, mettendo in difficoltà l’intera macchina organizzativa e perfino i militanti. È quello che è accaduto a Torino e che probabilmente accadrà a Bologna, forse anche a Roma.

Crede siano uno strumento ormai passato di moda, o magari non più adatto a scegliere i candidati?

Le primarie restano un buono strumento non solo per scegliere i candidati da un ventaglio più ampio di iscritti, ma anche perché servono per diffondere idee e mettere in contatto i candidati con una parte di società civile, quella più attenta alla politica. Sono utili anche per mobilitare le persone, perché ci sono dei candidati attraenti che portano alle urne cittadini che altrimenti non ci andrebbero. Insomma sono uno strumento utile, ma bisogna crederci e organizzarle bene.

Nel Pd c’è un problema logistico di organizzazione o non c’è la volontà politica di organizzare delle primarie come quelle da lei descritte fin qui?

Qualche volta c’è un’evidente incapacità organizzativa che è preoccupante, perché il Pd un partito che ha una grande storia di presenza sul territorio e di mobilitazione di energie. Caratteristiche che evidentemente ha perso e questo spiega perché galleggia sulla soglia del venti per cento, che a Letta va bene ma che non è entusiasmante. D’altra parte spesso c’è la volontà di imporre un proprio candidato, come dicevo, e non appena c’è uno sfidante agguerrito o agguerrita, come nel caso di Bologna, gli stessi dirigenti ne combinano di tutti colori per non farlo vincere, rovinando le primarie con le loro stesse mani.

Da dove nascono le problematiche del Pd su questo tema?

Letta non ha la colpa della situazione, anche se potrebbe fare a meno di appoggiare i singoli candidati. Il segretario dovrebbe volere una competizione aperta, inclusiva e vivace senza scegliere lui il candidato ideale. Ma la situazione è molto peggiorata da una decina d’anni perché è peggiorato il partito in generale nella sua organizzazione e nel correntismo più o meno aggressivo che c’è al suo interno. Tutto questo non mobilita gli iscritti, che sono diminuiti e che non sono d’accordo con il fatto che pur iscrivendosi e pagando la quota poi siano altri a decidere il candidato. C’è una certa umiliazione negli iscritti e questo problema dovrebbe essere risolto dai dirigenti.

Giuseppe Conte ha dato il proprio sostegno a Lepore nella corsa contro Conti. Come giudica la mossa del leader in pectore del M5S?

È un fatto nuovo ed è una chiara interferenza, non giustificabile. Lo sarebbe stata se le primarie avessero compreso anche esponenti del Movimento 5 Stelle, ma almeno a Bologna non mi risulta che sia così. Conte ha fatto un endorsement per dire ai suoi che possono andare a votare ma solo se votano per quel candidato. È un’operazione non brillante.

Perché negli Stati Uniti le primarie continuano a essere usate come sempre mentre in Italia vanno a periodi alterni?

Perché il fatto che le faccia solo un partito le rende meno diffuse, meno appetibili e meno entusiasmanti. In più c’è un elemento importante, cioè che negli Stati Uniti non ci sarà mai un unico candidato ma ci sarà sempre competizione e i collegi sono tutti uninominali. Le cariche importanti vengono scelte solo attraverso le primarie. Attualmente è in corso la campagna delle primarie per il sindaco di New York e ci sono sette candidati che pescano in ambienti diversi. Il modo per rivitalizzare le primarie è consentire la massima partecipazione possibile. Se sono aperte i cittadini sentono che il loro voto conta, se capiscono che il voto è manipolato rimangono delusi e non vanno a votare. Questo è qualcosa che Letta deve tenere in considerazione perché ha bisogno di un elettorato utile e mobilitato. Solo se allarga i confini del Pd ha chance di tornare al governo la prossima volta.

Cosa penserebbe il Pd del 2007, quello che ha dato vita alle primarie, di questo Pd?

Le primarie erano un elemento importante di quel partito che si stava costruendo. E potevano essere utilizzate al meglio. Non lo furono, ma furono comunque uno strumento importante. Letta partecipò alle primarie proprio con Veltroni e la Bindi e dovrebbe ricordarsi che è bene farle perché ottenne visibilità sfruttando ad esempio Facebook e il web. Ora vuole fare le Agorà di idee, ma è bene che faccia una vera e propria officina, perché servono persone convinte che il partito possa andare oltre questo 20 per cento trovando elettori che finora non l’hanno votato. A livello locale i dirigenti sanno che con una certa percentuale di voti vinceranno e non vanno a cercarne altri, ma questo è un errore gravissimo.

Come si sta preparando Bologna alle primarie di domenica?

A Bologna il Pd sa benissimo che chi vince le primarie diventa sindaco, perché il centrodestra è molto debole e non ha ancora trovato un candidato che abbia qualche spinta mobilitante. Su questa sua convinzione il Pd fa andare avanti le cose convinto che Lepore vincerà. È brutto tutto questo ma se uno guarda alla storia del centrosinistra bolognese, da quando si scelse Bartolini che poi perse con Guazzaloca, si vede che le scelte sono sempre state discutibili. È la storia di una città che non è malgovernata, ma è governata nettamente al di sotto delle sue possibilità. Si può anche fare il sindaco da mediano, come ha detto il sindaco uscente, ma non da mediocre. Dal punto di vista della cultura, del turismo, della cintura industriale si può fare molto di più. Ma ci vuole qualcuno, o qualcuna, che voglia fare davvero il sindaco di Bologna.