C’è chi giura che il Giorno dell’Annuncio sarà oggi. Altri assicurano che ci vorrà più tempo. Ma ormai praticamente nessuno mette più in dubbio lo “sganciamento” ( il termine scissione risulta al contempo troppo e troppo poco) di Matteo Renzi dalla Ditta, ossia dal Pd che si appresta a riabbracciare i dissidenti di Leu, Bersani e D’Alema in primis. Le ragioni che portano ad un simile sbocco le spiegherà direttamente l’ex premier. Ma non è così lontano dal vero immaginare che il senatore di Scandicci, artefice massimo del Conte due, capace con la sua forza politica di realizzare il connubio di governabilità altrimenti ritenuto impossibile tra Democratici e Cinquestelle, non si ritrovi nell’equilibrio che si è determinato dopo il giuramento dell’esecutivo. Il dividendo di una operazione spregiudicata e di successo, nelle valutazioni di Renzi, rischia di esaurirsi esclusivamente nella triangolazione Conte- Di Maio- Zingaretti. Lasciando a lui le briciole e un proseguimento di legislatura privo delle sue impronte.

Nasce da qui l’esigenza di bruciare i tempi. Dalla volontà, cioè, di modificare il tavolo su cui regge l’esecutivo, aggiungendo una gamba: meglio ancora se determinante, anche in virtù della capacità di calamitare parlamentari che siedono su banchi diversi da quelli della maggioranza giallorossa. Le prossime scadenze, e più in là il voto degli italiani, diranno se la strambata renziana godrà di apprezzamento e consenso oppure se subirà la sorte di inconcludenza di tante altre divaricazioni nel campo della sinistra. In ogni caso il pericolo più grosso da evitare è che i contraccolpi dell’iniziativa renziana mettano piombo nelle ali dell’esecutivo. In teoria non dovrebbe, visto che gran parte delle chances dell’ex premier si giocano sulla durata fino a fine legislatura del Conte 2, compreso il fondamentale passaggio dell’elezione del nuovo capo dello Stato.

Ma è altrettanto vero che certi processi una volta messi in moto possono deragliare, determinando un’eterogenesi dei fini. Lo strappo di Renzi comunque indebolirà il Pd e sul fronte opposto costringerà Di Maio ad un confronto da questi sempre rigettato. Nuove tensioni, anche forti, minacciano di prodursi. Sarebbe paradossale sfociare in elezioni anticipate dopo averle così caparbiamente esorcizzate.