UNO. Col passare dei giorni, non delle settimane o dei mesi, diventa sempre più chiaro qual è il problema fondamentale che agita l’Italia creando panico nel suo ceto politico e un’inquietudine sempre più intensa tra l’intera popolazione. E insieme si capisce meglio perché Draghi ( suo malgrado?) continua a restare inchiodato al centro dell’attenzione e dell’iniziativa. Il presidente del Consiglio, fatto saltare dalle debolezze e dalle furbizie dei partiti, viene percepito, da un lato, come ancora di salvezza per il paese, dall’altro, come pericolo per la sopravvivenza di un ceto politico frantumato e sempre più privo di legittimazione e prestigio ( vedi alla voce: crescente astensionismo elettorale).

La crisi, che sta già mordendo, non è più lo spauracchio di un futuro probabile e possibile. Sta già operando. Sta già gonfiandosi, provocando preoccupazioni e panico. Il numero delle fabbriche e delle aziende che non hanno riaperto dopo la pausa estiva inizia a essere sotto gli occhi di tutti. L’aumento del costo della vita per le famiglie italiane più deboli non è più una minaccia ma inizia a correre. E ogni giorno che passa cresce di un bel po’ il rischio che alla fine nessuno, tra i cosiddetti leader della politica italiana, sia in grado di controllare una situazione tanto esplosiva offrendo le risposte necessarie. Nessun mistero e nessuna congiura contro di noi. La spiegazione di quanto accade è perfino facile.

L’Italia, i leader dei partiti e i gruppi economici e industriali italiani di maggior forza, non sono in grado di rispondere alla crisi che s’addensa ogni giorno un po’ di più. Il perché è semplice: non si tratta (solo) d’incapacità. È che non esistono risposte interne e nazionali all’attuale crisi. La crisi che rischia di divorarci, infatti, può essere affrontata solo con una risposta europea. Per difenderci non serve più Italia, più patriottismo, più unità ( magari un ceto politico di qualità migliore). Servono più Europa e più europeismo. Non è più sufficiente lanciare i messaggi giusti agli italiani, bisogna connettersi alle altre nazioni europee e concordare strategie da dispiegare tutti insieme. L’Italia da sola non è in grado di superare la crisi. Le nazioni europee, ognuna per proprio conto, si trovano nella stessa situazione. Serve una visione. Bisogna andare oltre ciò a cui siamo abituati, in Italia e in Europa. Dobbiamo individuare l’interesse europeo e su quello spingere a più non posso stroncando le furbizie di chiunque.

L’esempio della partita giocata sull’approvigionamento e il costo del gas, con la strategia costruita e dispiegata da Draghi, tra mille perplessità di tutti gli altri in Italia e nel resto d’Europa, fa capire come stanno le cose. Nessuno Stato europeo è in grado ( sarebbe in grado) di sottrarsi ai ricatti di Putin sul gas, a partire dalla Germania che tra gli Stati dell’Ue è il più robusto. Ma se l’Europa procede con un accordo e una sola voce e tratta come fosse un unico Stato non solo si bloccherà il ricatto di Putin ma il dittatore russo dovrà rifarsi tutti i conti.

Certo, ci vuole autorevolezza e credibilità per avviare una partita del genere. Draghi ha i rapporti, le conoscenze e l’esperienza necessari per giocarla. La decisione del prossimo vertice dell’intera Europa per fissare un tetto al prezzo del gas lo dimostra.

DUE. Mentre è ancora in pieno svolgimento la decisiva partita sul costo del gas (la riunione dei paesi europei sull’argomento è prevista nella prima decade di settembre) si moltiplicano le fibrillazioni e le tensioni tra i partiti italiani in piena campagna elettorale. Salvini chiede lo scostamento di bilancio e soldi per piccoli e medi industriali del Nord verso cui la Lega, al di là delle dichiarazioni di facciata, sembra nuovamente aggrapparsi quasi in modo esclusivo (vedi le spinte sull’autonomia differenziata). Ma lo scostamento di bilancio vuol dire fare altro debito. Ipotesi a cui Draghi è decisamente contrario. Berlusconi, sempre più fragile nei sondaggi, a tratti sembra accodarsi a Salvini, capovolgendo gli antichi rapporti di forza con la Lega di un tempo. La Meloni e Tremonti si oppongono a far nuovo debito. Forse convinti che toccherà a FdI, partito più forte del centrodestra, sciogliere i nodi dopo le elezioni.

C’è un accordo tra i partiti del centrodestra per assegnare la presidenza del Consiglio a chi prenderà più voti. Non è detto che tenga. Molto dipenderà dai reali rapporti di forza in Parlamento e, soprattutto, nel Senato. I tre blocchi fondamentali del centrosinistra (Pd, Calenda- Renzi, Conte) sono tra loro separati. Ancor più in là Fratoianni e compagni che pure ha un accordo elettorale col Pd. I due blocchi dal punto di vista del consenso sembrano equivalersi. Ma il centrosinistra è molto più frantumato mentre il centrodestra sembra per ora contenere le divergenze. Il rischio è giudicare il nostro paese e il suo futuro sulla base dello scenario rapidamente riassunto. Non è detto che questo scenario non venga invece travolto dalla spinta europeista che sembra diventare sempre più necessaria per contenere e risolvere la crisi che s’è aperta a partire dalle bombe di Putin contro l’Ucraina.