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«Provate voi a fare quattro passi per due tutti i giorni. Provate voi a pensare di iniziare una storia con una persona, senza avere paura di farle male. Provate voi a non sentirvi vuoti, a non pesare ogni parola che dite. Io ho passato 1466 giorni da persona non libera. Ancora oggi, stanotte, mi sono svegliato due volte per farmi la doccia, perché sento l’odore del carcere addosso». Marco Sorbara, ex assessore comunale di Aosta e consigliere regionale, ha passato 909 giorni in custodia cautelare da innocente. Per la procura aveva siglato un patto elettorale con i clan di ‘ndrangheta arrivati ad Aosta dal paese di origine di suo padre. Un patto mai dimostrato, senza contropartita. Eppure, prima di arrivare all’assoluzione, l’ex politico si è visto condannare a 10 anni di carcere. «Vorrei che mi spiegassero perché», dice ora che il suo solo sogno è quello di tornare ad essere sereno.
Si è fatto un’idea del perché sia successo tutto questo?
Io vorrei girare la domanda al Tribunale che mi ha condannato in primo grado: perché mi sono stati inflitti 10 anni e 500mila euro di danni? Mi sento ancora tatuato addosso il carcere che ho subito senza motivazione.
C’erano i presupposti per la custodia cautelare?
Sono stato nel 2019 per fatti risalenti al 2015. Qual era il pericolo di fuga? In caso sarebbe bastato darmi i domiciliari o ritirarmi il passaporto. Non potevo reiterare perché non ero più assessore comunale e per quanto riguarda l’inquinamento probatorio come avrei potuto farlo se le accuse risalivano a quattro anni prima? Dalle indagini non è emerso nulla. E non perché siano state fatte male, ma perché non c’era nulla da trovare. Il Riesame, dopo 8 mesi di carcere, mi ha dato i domiciliari: non potevo scendere in giardino o in garage, non potevo parlare con nessuno, solo con mia madre. Per vedere mio fratello ho dovuto chiedere un’autorizzazione, così come per il parroco. In tanti sarebbero voluti venire a trovarmi, ma avevo paura di metterli in difficoltà. Avevo paura che qualsiasi cosa facessi potesse essere fraintesa. Io sono stato accusato di aver avuto rapporti con il ristoratore Antonio Raso (coimputato nel processo, ndr), ma in quello stesso ristorante ci andavano anche i giudici che mi hanno condannato e le forze dell’ordine.
C’entra il fatto che entrambi siate calabresi, secondo lei?
Sì. E quando non sono riusciti a trovare nulla hanno utilizzato una intercettazione ambientale in cui dicevo a Raso che da 20 anni ogni anno andavo a dare gli auguri di Natale ad un amico di famiglia, Bruno, che aveva fatto politica con mio padre. Una persona molto nota ad Aosta. Per il pm si trattava di uno ‘ndranghetista calabrese. Peccato, però, che non si trattasse della stessa persona. Bruno è venuto anche a testimoniare in aula. Sia in primo grado sia in appello non è stata data importanza a questa ambientale, perché era chiara, ma il pm l’ha usata per dire che frequentavo dei criminali.
Le intercettazioni, secondo i giudici d’appello, dimostrerebbero che la ‘ndrina aveva puntato in realtà su altri candidati e non su di lei.
Questa è l’apoteosi: in alcuni passaggi si sente dire a dei presunti affiliati che non mi avrebbero votato, facendo riferimento ad altri tre candidati. Sorbara non c’è mai.
Gli altri politici di cui facevano il nome sono stati indagati?
No. Perché hanno dei cognomi valdostani.
Insomma, vuole dire che il parametro sarebbe la sua calabresità?
Praticamente sì. La sentenza d’appello ha dei passaggi bellissimi: si dice che sono un politico vecchio stampo, non social, ma uno che sta in mezzo alle persone, le ascolta. C’è un’ambientale bellissima in cui dico a una persona: ricordati che se tu ti fidi di un politico che ti promette un posto di lavoro hai sbagliato tutto. Per un posto di lavoro devi darti da fare ed essere onesto. Il politico non trova posti di lavoro, ma deve fare qualcosa per aiutare tutti e dare una mano a chi ha i requisiti. Un altro esempio: mi dicono che ho aiutato la cognata di Raso ad ottenere una casa popolare. Bene, finché sono stato assessore le sono state respinte tre richieste. Il contributo lo ha ricevuto solo dopo che sono finito in carcere.
Dopo il suo arresto in Comune è arrivata una commissione d’accesso: è emerso qualcosa?
Che io non c’entravo nulla. E le dirò di più: l’amministrazione non è stata sciolta. Perché non c’erano tracce di infiltrazioni. La Commissione ha analizzato per sei mesi tutti i punti contestati nell’ordinanza di custodia cautelare, dagli appalti ai posti di lavoro e non ha trovato nulla. In più ci sono fiumi di intercettazioni - 42 faldoni e oltre 72mila pagine che ho letto almeno tre volte - in cui non c’è nulla di nulla.
Lei era accusato di concorso esterno: non serviva la prova di un aiuto concreto al clan?
E non è stato trovato nulla. Ma non c’è neanche una richiesta da parte dei clan. Anzi, succede l’opposto: non volevano votarmi. E da una lettura priva di pregiudizi di quelle intercettazioni si poteva capire che non c’era la possibilità di muovere quelle accuse. Mi dite perché, allora, sono finito in carcere?
Lei è stato intercettato?
Il paradosso è che io sono stato intercettato in una precedente inchiesta, nella quale però non sono nemmeno stato coinvolto: avendo ascoltato le mie conversazioni sapevano che sono una persona onesta.
Si trattava della stessa procura?
Non solo: erano gli stessi pm. Durante l’arringa Sandro Sorbara, mio avvocato e mio fratello, ha smentito il pm, che durante la requisitoria aveva affermato di non essere a conoscenza di quelle intercettazioni. Tutti sapevano che io ero innocente. Quello che mi sta devastando, anche se oggi finalmente sono libero e tutto è finito, è non capire perché mi sia stata rovinata la vita. Quando mi hanno inflitto 10 anni di carcere si sono resi conto che Marco Sorbara non è un nome, ma una persona, che dietro ci sono una famiglia, degli amici, una comunità? Quando andavo in Calabria, nel paese di mio padre, le persone erano orgogliose di me. Oggi ho paura anche a dirlo.
Pensa ancora alla politica?
Disintegrato come sono, l’unica cosa di cui ho voglia è la serenità. Prima di chiedere l’aspettativa per il mio mandato politico ero dipendente della Regione. Ho una paura terribile di tornare. Spero che la mia storia possa servire ai giudici per capire che per colpa di storie come la mia ci sono persone che non credono più nella giustizia. Ci sono giudici che fanno il loro lavoro per bene, rischiando la vita tutti i giorni, e il cui lavoro perde credibilità. E lo stesso vale per i giornalisti: non ci si rende conto del male che si può fare ad una persona. Eppure i magistrati e i giornalisti, oggi, hanno la capacità di uccidere, come un medico che sbaglia ad operarti. Quest’ultimo ti toglie la vita fisicamente, gli altri hanno il potere di togliertela lasciandoti vivo. Che a volte è ancora peggio.
Ha avuto problemi con la stampa?
Un giornalista locale, Piero Minuzzo, di aostacronaca.it, ha fatto un articolo per difendermi nel periodo in cui mi trovavo in carcere. Ed è stato ripreso dall’ordine dei giornalisti per essersi schierato dalla mia parte. Durante il processo sono state diverse le volte in cui sono stati pubblicati articoli con errori sulla mia posizione. Per sei mesi, ma anche di più, sono stato massacrato. Ed anche ora che sono stato assolto su La Stampa è stato pubblicato un articolo con il mio nome a caratteri cubitali nel titolo, come se volessi stangare il Comune per le spese legali. Ciò invece di porre l’attenzione sul fatto che sono stato condannato ingiustamente a 10 anni sulla base di niente e senza attenuanti generiche, salvo poi essere assolto, perché non mi sarei “dissociato” dalla presunta locale. Peccato che fossi innocente: da cosa dovevo dissociarmi? Senza contare che, ad oggi, la presenza della locale non è stata dimostrata.
Parliamo del carcere: 909 giorni di custodia cautelare, 214 in carcere, poi ai domiciliari. Che esperienza è stata?
Devastante. Il carcere per un innocente è terribile. E per come l’ho visto io è terribile anche per un colpevole. Se il carcere ha il fine di reintegrare, far capire ad una persona che ha sbagliato, posso dire che non funziona. Il carcere ti toglie anche la dignità. E non è giusto, che si tratti di colpevoli o di innocenti. I sentimenti che provi, quando entri in carcere, sono due: voglia di toglierti la vita e rabbia, odio. Non c’è una via di mezzo. Questo è successo anche a me: oscillavo tra la voglia di farla finita, specie dopo aver visto mia madre o quando sentivo il mio nome in tv, e la rabbia per ciò che mi era stato fatto. E se si esce in quel momento l’unica cosa a cui si pensa è la vendetta. L’ho visto sul viso di tante persone con le quali ho condiviso questa esperienza. La tv l’ho vista solo dopo i primi 45 giorni di isolamento. Ed era anche buffo, perché magari sentivo un politico usare il termine “onore” ed io pensavo che parole del genere mi venivano contestate.
Come sono stati quei giorni in isolamento?
Invito tutti a fare quattro passi per due e stare 45 giorni così. Avevo un letto in ferro cementato a terra, un piccolo lavandino, solo con l’acqua fredda, e una piccola tazza. L’unica umanità che hai lì dentro è quella degli agenti di polizia penitenziaria. Che sono le vere vittime lì dentro. Molte volte anche loro hanno paura a fare il loro dovere, perché quando vivi in un contesto del genere e hai a che fare con un soggetto come me a cui viene contestato un reato del genere magari hai anche paura a portargli un caffè perché lo vedi dimagrire di 20 chili o di fare una battuta. Per cui sei isolato, annientato. Ho avuto la fortuna di avere la fede. Ho camminato, come un criceto su una ruota. Ho trovato serenità solo dopo 33 giorni, perché ho potuto vedere mia madre.
Com’è stato?
I suoi occhi non potrò mai dimenticarli. Una donna di 79 anni che entra in carcere, viene perquisita dalla testa ai piedi per vedere suo figlio in un mondo assurdo: è devastante.
Cos’è accaduto dopo l’isolamento?
Mi hanno messo in una sorta di corridoio, con 25 celle su ogni lato, che si aprono alle 8 del mattino e si richiudono alle 20. Con i compagni di cella inizialmente hai anche paura di parlare, perché hai letto la tua custodia cautelare e allora non sai cosa possa accadere se hai contatti con qualcuno. Diventi tu lo strano dell’ambiente. Poi esci, ti trovi in una sezione dove tu sei il politico, quello che sta bene. Quello che può parlare con l’avvocato più volte a settimana. Così si genera odio nei tuoi confronti. E tu, che fino al giorno prima eri libero di fare ciò che volevi, non sei più niente. Non si può mettere una persona in custodia cautelare con persone che hanno già una sentenza passata in giudicato. Non si possono mettere dei colpevoli con dei presunti colpevoli nello stesso posto.
Forse sarebbe il caso di dire presunti innocenti, come dice la Costituzione.
Non è un lapsus il mio: io sono entrato dentro e per chi mi giudicava io ero già colpevole. È giusto fare le intercettazioni e le indagini, ma va fatto tutto bene. Le intercettazioni vanno lette per intero e contestualizzate. Sel nel 2011 parlo con una persona incensurata che solo anni dopo diventa uno spacciatore non mi si può dire che allora ho parlato con uno spacciatore: in quel momento non lo era. In più i pm devono avere il coraggio di ammettere gli errori. Non è possibile che sia stato fatto ricorso contro la mia assoluzione: era lampante la mia innocenza. Io ho passato 1466 giorni da persona non libera. Ancora oggi, stanotte, mi sono svegliato due volte per farmi la doccia, perché sento l’odore del carcere addosso. Non riesco ad avere relazioni con nessuno e quando ne ho le disfo in tre secondi. Come fai ad avere a fianco una persona? Hai paura.
Ci ha provato?
Dopo la scarcerazione una ragazza meravigliosa mi è stata vicino, ma ho mandato tutto all’aria. È la prima volta che lo dico. Come faccio a creare un futuro con qualcuno se ho paura di affezionarmi? Non posso più pensare di vedere persone che mi amano soffrire. Cose così ti rendono asettico. Da una parte è bello: se c’è fila non mi arrabbio più, mi si rompe la macchina e non me la prendo. Se vedo qualcuno piangere, paradossalmente, non provo nulla. Ma io non voglio essere così. Oggi sono spento. E voglio solo essere di nuovo il Marco di prima.