Oltre e più ancora della partita all’interno della maggioranza sulla durata della proroga dello stato di emergenza virale, retrocessa dall’originario 31 dicembre al 15 ottobre per le resistenze combinate del Pd e di Italia Viva, si è giocata al Senato – e ripetuta poi alla Camera- una partita istituzionale che porta il nome, e il polso, della presidente dell’assemblea Maria Elisabetta Alberti Casellati. Che il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e ancor più i suoi sostenitori più accaniti sul fronte giornalistico hanno compiuto l’errore di sottovalutare. Quando comparvero le prime indiscrezioni sulla volontà di Conte di prorogare di ben cinque mesi lo stato di emergenza proclamato sino al 31 luglio all’esplosione dell’epidemia virale anche in Italia, la Casellati alzò subito la voce reclamando un passaggio per fare uscire il Parlamento dalla clandestinità, o quasi, in cui era stato ridotto dalla gestione tutta governativa dell’eccezionalità della situazione.

La seconda carica dello Stato, presumibilmente convinta di esprimere umori e sentimenti condivisi dalla prima, cioè dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, denunciò lo stato di “invisibili della Carta” costituzionale in cui si trovavano ormai da troppo tempo i parlamentari, pur costretti ad una serie smisurata di votazioni di fiducia per la “conversione” dei decreti legge sfornati dal governo fra un decreto e l’altro del presidente del Consiglio dei Ministri, che neppure passavano per le commissioni e le aule del Parlamento. La sortita della presidente del Senato fu derisa dal Fatto Quotidiano, che l’accusò - testualmente- di essersi “sparata sui piedi” per avere scambiato le comunicazioni già in programma del ministro della Sanità in quei giorni sulla proroga di alcune misure che stavano per scadere con quelle che il presidente del Consiglio si sarebbe già proposto di fare più in là per spiegare le ragioni della proroga, più in generale, dello stato di emergenza proclamato a fine gennaio. Per tutta risposta la presidente del Senato fece votare l’assemblea anche sulle comunicazioni brevi, diciamo così, del ministro della Salute Roberto Speranza.

Passato qualche giorno, senza lasciarsi impressionare più di tanto dal cesarismo scolpito sul nome di Conte dai sostenitori al termine del lungo e travagliato Consiglio Europeo sul “Recovery fund”, come se l’accordo a Bruxelles fosse stato solo merito del presidente del Consiglio italiano e non soprattutto della presidente di turno dell’Unione e cancelliera tedesca Angela Merkel, la presidente del Senato rinfrescò moniti e memoria con una intervista al Messaggero. Il cui titolo, proiettato sui passaggi successivi a quel vertice, compreso quello relativo alla proroga dello stato di emergenza, non poteva essere più netto e chiaro: «Il premier non faccia da solo. L’ultima parola è delle Camere».

Il plurale s’intendeva naturalmente come atto di riguardo al Parlamento nella sua interezza, e quindi anche al presidente di Montecitorio: il grillino Roberto Fico. Che, volente o nolente, viene spesso messo dal suo partito nelle stesse difficoltà in cui un suo predecessore, Gianfranco Fini, metteva - sino alla rottura definitiva- il suo partito o schieramento di appartenenza o provenienza ai tempi dell’ultimo governo di Silvio Berlusconi. Alludo al Pdl, dove erano confluite FI e AN, già Msi. Con la proroga, unica e ultima, dello stato di emergenza virale al 15 ottobre, peraltro accompagnata dalla preminenza restituita ai decreti legge rispetto agli abusati decreti del presidente del Consiglio dei Ministri, la presidente del Senato può ben ritenere di avere consentito, anzi determinato, un riallineamento dei rapporti fra il Parlamento e il Governo, o viceversa, con tutte le maiuscole del caso. E’ stata in qualche modo restituita la visibilità agli “invisibili” dei mesi passati. Chiamatela pure ironicamente “Queen Elisabeth”, signori sostenitori ad oltranza del presidente del Consiglio e di quel “narcisismo della popolarità” stigmatizzato sul Corriere della Sera dal pur cauto Massimo Franco, ma la presidente del Senato ha giocato e vinto in questi giorni una partita mica da poco sullo scenario istituzionale e persino politico.

Dovrebbe tenerne conto anche il leader leghista ed ex ministro dell’Interno Matteo Salvini, le cui recenti esibizioni senza mascherina di protezione per sé e per gli altri, all’insegna di un “negazionismo” dell’emergenza virale che ha allarmato anche Andrea Bocelli dopo avervi partecipato con l’immancabile Vittorio Sgarbi e altri, la presidente del Senato ha affidato all’esame degli onorevoli questori di Palazzo Madama. Non rischierà processi almeno per questo, si spera, bastando e avanzando quelli che si è già procurato o sta ancora procurandosi per sequestro di persone quando era al Viminale, ma è forse il caso che anche Salvini si dia una regolata in questi tempi di pericolo o rischio non ancora cessato da coronavirus.