di PIETRO DI MUCCIO DE QUATTRO

Il Governo Renzi nel luglio 2014 istituì l’indirizzo rivoluzione@ governo. it invitando i cittadini a fornirgli idee per la riforma della giustizia. Inviai un’email con tre proposte. Due riguardavano l’habeas corpus con rilascio su cauzione e la difesa diretta. La terza, “il risarcimento per l’assoluzione”, vale a dire che, quando un imputato viene definitivamente assolto, lo Stato deve risarcirlo di tutte le spese sostenute per difendersi. Tale diritto al risarcimento non ha nulla a che vedere con la responsabilità civile del magistrato, ma configura una responsabilità oggettiva dell’amministrazione giudiziaria, perché è moralmente inaccettabile quanto contrario al senso di giustizia che lo Stato, pur sentenziando l’innocenza di un imputato, possa giungere a distruggerlo economicamente obbligandolo ad affrontare spese, cospicue fino all’insostenibilità, per difendersi in giudizio. Uno Stato che concede il gratuito patrocinio a un colpevole mentre impoverisce un innocente. Il 15 luglio 2014 “L’Opinione” pubblicò le tre proposte, mentre il successivo 28 luglio “Il Corriere della Sera” riportò testualmente l’email con la seguente risposta di Sergio Romano: “Il ministro di Giustizia si è detto pronto a raccogliere proposte e commenti. Eccone tre che meritano una riflessione. Ma posso dirle sin d’ora che il rilascio su cauzione sembrerà a molti, soprattutto in questo momento, un favore fatto ai ricchi. Per mettere questa misura all’ordine del giorno occorrerà attendere tempi migliori».

Ma la preoccupazione, tutta italiana, di favorire i ricchi è infondata in fatto e in diritto. Nei paesi anglosassoni la cauzione ( bail) è costituzionalmente garantita da secoli ( VIII Emendamento della Costituzione USA e Bill of Rights del Regno Unito). In Gran Bretagna, per esempio, l’ 80% degli accusati viene rimesso in libertà su cauzione. Il giudice ha ampia discrezionalità sia sulla concessione che sull’ammontare della cauzione. In America può essere negata per i reati gravi e gli imputati pericolosi per la società. Dunque, ciò che in Italia vi si oppone davvero è la mentalità avversa alla piena, effettiva, generalizzata vigenza della presunzione d’innocenza solennemente proclamata, alquanto vanamente, dall’art. 27 della nostra Costituzione.

Circa due anni dopo, il 3 febbraio 2016, “Panorama” condusse un’inchiesta sulle spese legali, riportando che in trentadue paesi europei sono a carico dello Stato quando l’imputato viene assolto con formula piena. Successivamente, il 16 marzo, lo stesso settimanale dava notizia che il senatore Gabriele Albertini aveva presentato un disegno di legge per introdurre nell’ordinamento italiano il principio della “ingiusta imputazione”. In effetti, il 3 dicembre, primo firmatario Albertini, fu presentato il disegno di legge 2153, che modificava l’art. 530 c. p. p. in materia di rimborso delle spese di giudizio, inserendovi un comma 2- bis così concepito: «Se il fatto non sussiste, se l’imputato non lo ha commesso, se il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, il giudice, nel pronunciare la sentenza, condanna lo Stato a rimborsare tutte le spese di giudizio, che sono contestualmente liquidate. Nel caso di dolo o colpa grave da parte del pubblico ministero che ha esercitato l’azione penale, lo Stato, può rivalersi per il rimborso delle spese sullo stesso magistrato che ha esercitato l’azione penale». Non solo è sorprendente che l’idea abbia trovato un senatore disposto a patrocinarla con l’iniziativa legislativa.

Ancor più lo è che ben 183 senatori l’abbiano firmata alla data del 15 marzo 2016: un’adesione più unica che rara, la quale avrebbe dovuto costituire il miglior viatico per la rapida approvazione. Invece il disegno di legge, che la firma di cotanti senatori faceva considerare già virtualmente approvato, restò miseramente impantanato nelle commissioni, senza vedere mai la luce dell’Assemblea. Il Governo o il caso lo impastoiarono anziché sbrigliarlo. Né risulta ripresentato nella Legislatura in corso. In conclusione, come vincere una causa civile e tuttavia perderci o restare schiacciato dalle spese legali sostenute per resistere, non è giustizia, così essere dichiarato innocente da sentenze definitive e, per farsi assolvere, venir ridotto sul lastrico dallo Stato che ha incriminato e prosciolto, non è giustizia.

Insomma, sulla ruota della giustizia, il cittadino perde pure quando vince. Mentre una giustizia rapida, semplice, economica, e per ciò quasi giusta, appare la promessa non sempre sincera d’ogni nuovo governo.