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E così dopo il Consiglio dei ministri con varie ed eventuali, siamo finiti nel Cdm a singhiozzo, cominciato e subito sospeso; ripreso e poi interrotto e poi ripreso ancora. Per finire in un nulla di fatto “salvo intese”. Le quali latitano parecchio: in compenso al loro posto ci sono altissimi lai polemici, rimpalli di accuse e controaccuse, «l’acqua fresca» di Matteo Salvini ( ma le surfate in moto d’acqua del figlio fortunatamente non c’entrano) e il rigetto contaminatorio di Bonafede: «Mica siete alleati con Berlusconi».
Insomma sulla riforma della giustizia - speriamo non definitivamente avviata su un binario morto perché di essa il Paese da anni ha assoluto bisogno - è andato in onda il copione del governo del nostro scontento. Nostro nel senso di cittadini alle prese con una coalizione che fa del litigio il collante per restare uniti: paradosso contraddittorio che bene illustra il livello di disorientamento della politica italiana. Nostra nel senso di ciascuno dei due partner di maggioranza che si confrontano non sapendo se devono farlo nascondendo o no il pugnale in tasca. Nostro nel senso di ciascuno dei due vicepremier a cui una volta «bastava un’occhiata per capirsi e accordarsi» e che oggi sono ridotti a «quello là» con annessa replica «io ho un nome e un cognome». Come nelle baruffe alle Superiori. In mezzo rimane il problema di sempre: governare. Mentre infatti il Guardasigilli pentastellato e la ministra della Pubblica amministrazione leghista si rimpallano accuse, gli indicatori economico- sociali lampeggiano emettendo il rauco lamento di chi si sgola per annunciare il pericolo senza ottenere ascolto. Il Pil è fermo; l’occupazione sale in virtù della dequalificazione del lavoro; l’ultimo rapporto Svimez segnala una forbice Nord- Sud che piccona il nocciolo duro dello spopolamento. La gente va via dal Mezzogiorno desertificando speranze e vivibilità di una parte essenziale del nostro Paese.
Eppure Di Maio è di Pomigliano d’Arco, l’ex Stalingrado del Sud diventata grillina. E Salvini passerà il Ferragosto a Castel Volturno. Chissà se basterà a riannodare i fili di una perduta governabilità per un autunno che si prospetta, sia socialmente che politicamente, straordinariamente complicato.