GIANPAOLO CATANZARITI*

Sapevamo di trovare al carcere di Reggio Calabria “Arghillà' una situazione ben diversa da quella riscontrata, il giorno prima, all’altro istituto ' Panzera', entrambi gravati dall'accorpamento subìto.

La realtà, purtroppo, ha superato ogni immaginazione.

E non solo per il degrado urbanistico circostante, rimasto tale e quale alla visita che facemmo assieme a Marco Pannella nel settembre del 2014!

Abbiamo trascorso oltre cinque ore, toccando con mano le criticità di una struttura, che, in origine, avrebbe dovuto rappresentare il fiore all'occhiello della reclusione calabrese.

Alle deficienze strutturali orginarie, che hanno fatto di Arghillà il simbolo della fallimentare politica penitenziaria praticata negli anni, inaugurata - dopo 25 anni dalla posa della prima pietra - in pompa magna dall'allora ministro Cancellieri nonostante l'assenza, fra le altre, di un campo da calcio, di un teatro e di una cappella, si è aggiunto l'aumento esponenziale della popolazione detentiva senza un corrispondente aumento del personale operante e senza un servizio sanitario all'altezza delle gravità riscontrate.

Con una capienza regolamentare di 302 posti e 89 ' camere di pernottamento', Arghillà ha in carico 365 detenuti ( di cui 53 in Alta Sicurezza, 213 definitivi e 93 in attesa di primo giudizio, 51 stranieri, ma nessun mediatore culturale). Sono 64, di cui tre all'esterno, coloro che svolgono attività lavorativa. Pochissimi per una struttura che avrebbe dovuto rappresentare un modello di reclusione al Sud Italia. La maggior parte delle celle ospita tra 7 ed 8 detenuti su letti posti sistematicamente l'uno sull'altro, sino al terzo livello. Una condizione intollerabile che calpesta la dignità umana di chi è costretto a scontare una pena detentiva, condividendo un unico bagno senza bidet, attendendo il proprio turno per i bisogni fisiologici o per potersi sciacquare, quando l'acqua, dopo ore di assenza, esce improvvisamente dai rubinetti.

La maggior parte dei bagni presenta pareti invase dalla muffa che ammorba l'aria, irrespirabile sotto il telefono della doccia.

Abbiamo provato a misurare lo spazio detentivo disponibile, utilizzando i virtuali parametri sbanderiati dal Ministero secondo il Dm 5 luglio 1975 ( 9 metri per il primo, 5 metri per ogni ulteriore detenuto) e, francamente, in nessuna delle celle, da 6, da 7 o da 8, ci sembrano rispettati.

Da una operazione sommaria, da parete a parete, la cella più ampia ha un'area di poco più di 24 mq. Eppure, per come riferito da molti detenuti, ogni istanza ex art. 35 ter Ordinamento penitenziario. in ragione del sovraffollamento viene sistematicamente dichiarata inammissibile o riconosciuta per pochi giorni.

Un detenuto, affetto da disabilità motoria alle gambe, su sedia a rotelle, dimora con altri 7 compagni di cella e senza accessori che consentirebbero di usufruire del bagno per disabili. Nell'osservare quel bagno ammuffito, lo abbiamo immaginato sostenuto da altri due detenuti per potersi sedere sul wc e, sinceramente, ci siamo vergognati noi per tutti.

Il personale di polizia penitenziaria fa quel che può, con 112 effettivi su una pianta organica di 160.

Anche gli agenti, che occupano la caserma posta all'interno della struttura rimasta sempre identica alla nostra ultima visita, vivono in condizioni di degrado assoluto, con stanze e bagni che sembrano ' luoghi della memoria' del secondo dopoguerra.

Sette sono gli educatori ed uno è lo psicologo presente una volta a settimana, nonostante numerosi siano i detenuti problematici e l'ultimo suicidio di pochi giorni addietro.

Assurda è, poi, la situazione dell'area sanitaria con un'assistenza infermieristica garantita dalle 7 alle 22, confidando, così, nella benevolenza della notte! Circa 20 sono i detenuti che presentano disturbi di natura psichiatrica, mentre 43 sono in carico al Sert per le tossicodipendenze.

Nonostante vi siano strumenti e gabinetti medici attrezzati, le prestazioni specialistiche, per ragioni tutte interne all'azienda sanitaria provinciale e da noi sconosciute, sono estremamente dilatate nel tempo.

Nei mesi scorsi vi erano oltre 390 prestazioni specialistiche richieste ed ancora inevase, affidando il detenuto alla buona sorte o al ricovero ospedaliero d'urgenza.

La salute in carcere ad Arghillà sembra paragonabile alla ruota della fortuna che si gioca in locali neppure presi in carico formalmente dall'Asp.

Il personale penitenziario ha messo in piedi una equipe multidisciplinare che si occupa, da subito, dei nuovi giunti, anche per prevenire e monitorare situazioni irreversibili.

L'area trattamentale si sforza, con sacrificio, di garantire una offerta formativa e laboratoriale adeguata alle numerose presenze detentive con corsi scolastici, di base e di grado superiore ( per media ed alta sicurezza), che, però, non vengono garantiti per i 33 detenuti ristretti nella sezione c. d. protetti ( sex offender), ed attività culturali e artistiche ( canto, cineforum, biblioteca, yoga, catechesi).

Manca l'apporto esterno al carcere che, in Calabria, è davvero inesistente.

L’area verde, seppur presente ed attrezzata, risulta inutilizzata per ragioni fumose, così i bimbi sono costretti ad incontrare i padri nelle anonime sale colloqui.

Alcuni detenuti di Alta sicurezza, con pene lunghe da espiare, trasferiti ad Arghillà per il sovraffollamento delle sedi di assegnazione, trascorrono le loro giornate senza alcuna attività specifica.

Un giovanissimo ergastolano, costretto a stare in cella con altri sette detenuti, giudicabili e non, si lamenta per il mancato trasferimento presso una struttura, anche fuori regione, ove poter espiare l'isolamento diurno residuo, in atto sospeso.

Girare nei corridoi di Arghillà, entrare dentro le celle sovraffollate, è come un pugno sordo sullo stomaco. Ti rendi conto della condizione disperata ed intollerabile dei 365 detenuti, che ti ringraziano comunque per essere ' i soli che venite a trovarci', che allungano una mano e che afferri, senza più parole, per ritrovare l'umanità smarrita, da tempo, nei luoghi in cui si esercita l'autorità dello Stato. E quando un settancinquenne si avvicina con uno schizzo su carta che raffigura dei corpi umani rinchiusi in una scatoletta di carne, ti accorgi che, alla fine, sottrarre alle tue ferie alcune giornate per il ' Ferragosto in carcere' ne è valsa davvero la pena per crescere umanamente e professionalmente e soprattutto per non ' marcire dentro'.

Più volte abbiamo denunciato le condizioni in cui si trova la struttura di Arghillà che offende la dignità dei detenuti e quella dei “detenenti” al punto che un agente si lascia scappare una frase ' Avvocato, dovete fare le visite fuori da qui, perché è là che c'è necessità di recuperare un po' di umanità' Il giorno dell'inaugurazione ( 2013) di Reggio Arghillà l'allora provveditore regionale così dichiarò: ' L’apertura rientra in un progetto del Governo che riguarda altri istituti calabresi e che punta a raggiungere condizioni adeguate e coerenti con le indicazioni della Corte Europea, con i principi della nostra Costituzione e delle nostre leggi, nel rispetto delle quali va l’impegno del personale che spende la propria vita per garantire la presenza dello Stato ed il rispetto delle condizioni di vita del detenuto. Il nuovo carcere è un presidio di legalità concreto che sorge in un territorio particolarmente segnato dalla criminalità. La presenza dell’istituto segna la scelta di affermare la legalità, ha un’importanza simbolica. Rappresenta la vittoria dello Stato, resa ancora più significativa dall’intitolazione della strada alla memoria del giudice Antonino Scopelliti”.

Una intitolazione che forse il magistrato avrebbe proprio rifiutato!

* Responsabile Osservatorio Carcere UCPI