Per cinque anni ha continuato serenamente a fare politica fuori dal Palazzo, svolgendo spesso il ruolo di coscienza critica del Pd. Ma ora Gianni Cuperlo, candidato nel collegio plurinominale di Milano, potrebbe tornare a dire la sua direttamente dai banchi di Montecitorio.

Il rebus delle liste è stato risolto. Soddisfatto per la squadra di candidati?

Enrico Letta si è sobbarcato una missione generosa e difficile, conciliare le domande dei territori col pluralismo delle alleanze e il bisogno di garantire le esperienze e competenze necessarie. Gli riconosco questo impegno ma credo non abbia trovato eguale generosità da parte delle correnti e di troppi notabilati locali, non solo al Sud. Detto ciò il taglio di 345 parlamentari ha lasciato intere regioni orfane o mutilate di una propria rappresentanza, il tutto senza aver messo mano alla riforma del bicameralismo e dei regolamenti. Toccherà al prossimo Parlamento cambiare questa pessima legge elettorale.

Due giorni fa Giuseppe Conte ha aperto a un'intesa col Pd dopo il voto. Ieri ha deciso invece di far saltare l'alleanza in Sicilia. Cosa ne pensa?

Adesso c’è un voto da provare a vincere. Dopo, qualunque sia il risultato, bisognerà affrontare uno scenario nuovo anche con un rinnovamento del modo d’essere dei partiti e delle colazioni. E la rottura improvvisa ieri della coalizione in Sicilia, nella gravità di quella scelta, fa capire quanto sia il lavoro da fare.

Non trova un po' contraddittoria l'alleanza con Nicola Fratoianni, che non ha votato la fiducia a Draghi per 55 volte, ed escludere categoricamente l'intesa con i 5Stelle, che hanno negato la fiducia al premier solo una volta?

Con i 5 Stelle abbiamo condiviso il sostegno al Conte 2 e al governo Draghi. La scelta di farlo cadere con una guerra in corso nel cuore dell’Europa e alla vigilia di un autunno carico di incognite per imprese e famiglie è stato un errore grave. Denunciarlo e un minuto dopo presentarsi uniti era per lo meno incoerente. Con Sinistra Italiana le distanze erano note come noti sono i punti di contatto a partire dal rifiuto del presidenzialismo e dalla priorità della transizione ambientale. Abbiamo firmato un’alleanza per i collegi uninominali imposta dalla cattiva legge elettorale. Mi faccia aggiungere che comprendo meno il silenzio sulle contraddizioni di una destra che sulla fiducia a Draghi si è divisa per un anno e mezzo con Fratelli d’Italia, il partito con più consenso, a denunciare i guasti di un governo del quale facevano parte i suoi alleati di adesso.

Mi scusi se insisto, Fratoianni ha posizioni molto simili a quelle dei 5S anche in politica estera...

Insisto, le differenze tra noi non le abbiamo occultate. L’alleanza si fonda sui capitoli che ci vedono sullo stesso fronte e in questo senso la difesa dell’impianto costituzionale non è un dettaglio. Se invece alziamo lo sguardo sull’altro campo è interessante capire come si combinano le posizioni di Forza Italia e Lega con chi per cinque volte in Parlamento non ha votato il Recovery Plan e il Pnrr elaborato da Mario Draghi, vale a dire per i 209 miliardi che potrebbero arrivarci dall’Europa consentendo riforme decisive, dal diritto pieno alla salute alla transizione Green a welfare, digitale, infrastrutture. Ho detto “potrebbero” perché nella genericità del loro programma si evoca una rinegoziazione del Pnrr che vorrebbe dire rischiare di perdere le rate che Bruxelles ci erogherà solo se rispetteremo gli impegni presi. Parliamo pure di Fratoianni che per altro in questi giorni ha mostrato coerenza e spirito di servizio, ma sarebbe utile che gli italiani pensassero al dopo e a chi potrà tutelare meglio i loro interessi e bisogni.

Parliamone, il campo largo si è ristretto parecchio, ai lati del Pd sono rimasti solo Di Maio e la coppia Fratoianni-Bonelli. Così non si rischia una batosta?

Apprezzo la sua costanza nel pormi la terza domanda su Fratoianni, facciamo che le ho risposto (dice sorridendo, ndr). Quanto al resto la vedo così. Noi siamo stati al governo per undici degli ultimi vent’anni, Forza Italia per dodici, la Lega quanto noi, i 5 Stelle per l’intera ultima legislatura e anche i capi di Fratelli d’Italia, da Meloni a La Russa e Crosetto, hanno ricoperto incarichi ministeriali e di governo. Voglio dire che in questa campagna elettorale nessuno può alzarsi e dire “Io non c’ero”. Il che mette gli elettori nella condizione di scegliere tra soluzioni alternative per i guasti del paese.

E qual è la vostra proposta?

Noi diciamo che le priorità sono un diritto a non trovarsi mai più soli nella malattia, il che implica investire mezzi e risorse nella medicina territoriale e nei medici di base. Diciamo una mensilità in più in busta paga tagliando in modo strutturale il costo del lavoro. Diciamo una riforma fiscale fondata sulla progressività, chi ha di più paga di più, andando a colpire un’evasione da oltre cento miliardi l’anno. La destra sceglie la flat tax che, numeri alla mano, è una regalia ai redditi più alti, rilancia la logica del privato a scapito del pubblico e minaccia blocchi navali fuori dalle regole e dal diritto internazionale. Sommiamoci le affinità col nazionalismo razzista di Orbán e Le Pen e l’affresco dovrebbe allarmare anche i moderati più sinceri.

Teme la concorrenza “a sinistra” di Conte e quella al centro di Calenda e Renzi?

Ho rispetto per chiunque si collochi oggi in alternativa alla destra, ciascuno segue la sua rotta e nulla deve escludere dialogo e confronto nel dopo.

È stato un errore sventolare l'agenda Draghi come unico programma politico del Pd?

Ma non è così. Abbiamo presentato un programma dettagliato di riforme necessarie e che una maggioranza ibrida come quella a sostegno di Draghi non avrebbe mai potuto realizzare. La verità è che l’agenda Draghi era e rimane Mario Draghi, la sua reputazione in Europa, ragione in più per giudicare sbagliata la scelta di 5 Stelle, Lega e Forza Italia di farlo cadere.

Secondo i sondaggi, il centrodestra dovrebbe fare il pieno di consensi e di collegi uninominali. La scommessa del Pd, in questa fase, sembra ridursi a vincere il duello con FdI per accaparrarsi il titolo di partito più votato. Non è un obiettivo troppo poco ambizioso?

Chi va in campo convinto di perdere ha già perso. Non è il caso nostro. Sappiamo che la corsa è difficile e però vediamo tutti i rischi dell’affidare il paese a una destra priva di idee e impregnata di un’ideologia ostile ai capisaldi non della cultura liberale ma dell’Illuminismo. Penso che abbiamo le parole e i valori per convincere una maggioranza degli italiani.

Sabino Cassese sul Corriere della Sera ha parlato della crisi della democrazia parlamentare come risultato della crisi della democrazia interna ai partiti. Condivide quest'analisi?

L’ho trovata impietosa ma con elementi di verità. Mi ha colpito la citazione di Calamandrei, «Una democrazia non può essere tale se non sono democratici anche i partiti». Fa capire perché da anni il tema è stato colpevolmente rimosso mentre la qualità della democrazia dipende dalla capacità di ricostruire un legame tra gli elettori e una selezione trasparente delle classi dirigenti. Anche su questo abbiamo messo in campo le nostre proposte a partire da un’applicazione dell’articolo 49 della Costituzione. Ma infine mi lasci dire che al di là delle regole contano gli esempi e una rinnovata etica pubblica che assieme alla passione riscopra le categorie di “disciplina e onore”.