Platone ne parlava con sarcasmo già 500 anni prima di Cristo. Giovenale, sardonicamente, spiegava che affannarsi per riuscirci era sforzo vano. Questo per dire che Quis custodiet ipsos custodes, chi custodisce i custodi, è una faccenda che si trascina da tempo: con risultati non sempre apprezzabili. In qualche misura il caso Palamara e le ultime vicende in seno al Csm, rimandano al millenario - e non risolto - quesito.

I magistrati, qualunque sia la funzione che esercitano, sono visti e soprattutto debbono apparire agli occhi dei cittadini autorevoli e imparziali. Scoprire che brigano e si sgambettano per le carriere, le poltrone, gli incarichi - indipendentemente, è bene precisarlo, da qualunque valutazione giudiziaria e perfino da ipocrisie un po’ pelose - suscita nella pubblica opinione un sentimento misto di stupore, sconcerto e inevitabile amarezza.

Storicamente, ogni volta che è emersa una problematica riguardante il suo modo di funzionare, nella magistratura è scattato il riflesso condizionato di chiudersi in sé stessa. Per salvaguardare l’irrinunciabile e decisiva autonomia, è stata scelta una distanza, è stato alzato un ponte levatoio di separatezza e autoreferenzialità.

Riflesso che è prevalso anche quando si sono discusse riforme che in qualche modo concernevano il pianeta delle toghe. Immediatamente diventavano autoriforme; oppure niente da fare. Perfino nei Consigli giudiziari, quando si tratta di giudicare su nomine e carriere, gli avvocati che pure fanno parte dell’organismo debbono uscire: per evitare “contaminazioni”.

Se è possibile dare un suggerimento nell’interesse stesso dei magistrati, forse è arrivato il momento di provare a cambiare prospettiva. Forse l’indipendenza e la trasparenza della magistratura possono essere meglio garantite attraverso la capacità di condividere con altri soggetti giurisdizionali, a partire dall’avvocatura, i meccanismi di funzionamento e l’attribuzione degli incarichi. Trovare interlocutori preparati può svolgere una funzione equilibratrice. Al contrario invece, continuando nella gelosa custodia dell’autoregolazione senza se e senza ma, il pericolo di sbandamenti che possono alimentare oblique voglie di controlli dall’esterno, promette di diventare inarrestabile.