I meno giovani ricorderanno l’allucinante domenica del 23 marzo 1980: alla fine delle partite nei principali stadi della Serie A arrivano le camionette delle forze dell’ordine. Sembrava una cartolina del Cile di Pinochet. E invece non erano lì per fronteggiare gruppi di ultras ma per arrestare i calciatori. Un blitz immortalato in diretta da Novantesimo minuto che ha fatto la storia della nostra tv, il compianto Paolo Valenti mostra un’Alfetta della polizia che solca la pista d’atletica dell’Olimpico di Roma e si fa prendere la mano dal giustizialismo: «Erano nomi chiacchierati, finalmente un po’ di chiarezza» ma dagli studi di Domenica In Pippo Baudo lo redarguisce in un sussulto garantista: «Scusa Valenti, ma non bisogna essere colpevolisti ed emettere sentenze prima della magistratura». La scena si ripete in altre città: Milano, Genova, Palermo, Pescara. Ad Avellino l’attaccante Stefano Pellegrini viene arrestato subito dopo aver finito un’intervista. Altri 11 finiscono in manette, tra cui nomi molto noti come Albertosi e Morini del Milan, Wilson, Giordano e Manfredonia della Lazio. I mandati di cattura, erano stati spiccati la sera prima dal giudice Arnaldo Bracci della Procura di Roma. Più una ventina di mandati di comparizione che coinvolgono campioni affermati come Paolo Rossi, Savoldi, Damiani, Dossena. È l’inchiesta Calcio scommesse o Totonero che scosse l’Italia del pallone. Ed è anche uno dei primi esempi di giustizia spettacolo nel suo fatale connubio con lo Stato di polizia. D’altra parte era l’Italia delle leggi speciali, della lotta al terrorismo e alla criminalità organizzata, pompata e allenata alla violazione sistematica del diritto di difesa e della dignità delle persone arrestate. Sui giornali e nelle tv non si parla d’altro, il “pallone è in manette” titolano i principali quotidiani, e chi più chi meno, tutti a cavalcare l’onda colpevolista. Nel dicembre del 1980 però arrivano le sentenze dopo mesi di udienze nell’aula Bunker del Foro Italico, la stessa del processo ai rapitori di Aldo Moro: tutti gli indagati vengono prosciolti poiché il fatto non sussiste. Ci saranno diverse e pesantissime squalifiche, ma la giustizia sportiva fondata sull’indecifrabile “principio di lealtà” è un obbrobrio foracaiolo che farebbe rimpiangere il Codice di Hammurabi. Per anni ci saranno inchieste “minori” sulle scommesse clandestine come un tentativo di combine tra Atalanta e Pistoiese in una partita di Coppa Italia del 2001, inchieste che raramente saliranno agli onori delle cronache nazionali. Fino allo scandalo di Calciopoli, l’altro grande terremoto che nella primavera del 2006 ha sconquassato il mondo del pallone. Squalifiche e penalizzazioni durissime per decine di squadre e la clamorosa retrocessione in Serie B della Juventus di Giraudo, Bettega e Moggi. Con quest’ultimo a giocare il ruolo di supercattivo, di grande vecchio della corruzione e del malaffare calcistico italiano, descritto dai i media come una personaggio onnipotente, un incrocio tra il cardinale Richelieu e Toto Riina. L’inchiesta penale è affidata alla procura di Napoli che teorizza il reato di associazione a delinquere, ed è un calvario che dura nove anni. Fino al marzo del 2015 quando i giudici napoletani prosciolgono tutti gli imputati, Moggi e Giraudo, i presidenti Lotito e Della Valle, gli arbitri Bertini, Dattilo, De Santis e Racalbuto e il designatore Pairetto. Un altro scandalo di cui oggi si parla troppo poco fu quello di “Scommessopoli” del 2012, emerso dopo le indagini della procura di Cremona; oltre 150 indagati un’ondata di arresti (17) e perquisizioni per un presunto giro di partite truccate che coinvolge anche l’allenatore Antonio Conte e diversi calciatori di spicco. Il capitano della Lazio Stefano Mauri viene addirittura arrestato dalla polizia mentre è in ritiro con la nazionale nel centro federale Coverciano, ripreso impietosamente da un video che fa il giro della rete. La gran parte degli indagati (tra cui il povero Mauri) in particolare calciatori e tecnici verrà poi assolta dalla giustizia ordinaria mentre le accuse di truffa si attenuano in quelle di omessa denuncia. L’inchiesta su plusvalenze e stipendi che ha portato alle dimissioni della dirigenza juventina dimostrerà qualcosa o sarà l’ennesimo buco nell'acqua?