Bongiorno: «Con i sì ai referendum primo passo per una riforma costituzionale»
Intervista a Giulia Bongiorno, responsabile Giustizia della Lega: «La riforma Cartabia è chiaramente anacronistica. Non affronta i temi cruciali, sembra scritta prima che si scoprisse la gravità della degenerazione delle correnti»
«Sicurezza e garanzie non sono incompatibili. Il centrodestra? Sulla giustizia c’è compattezza». Giulia Bongiorno, responsabile Giustizia della Lega, non ha dubbi sulla tenuta della coalizione che vede insieme e pronti alla sfida delle prossime politiche il Carroccio, Forza Italia e Fratelli d’Italia, nonostante le diverse posizioni tenute in occasione della riforma del Csm. Una riforma, spiega al Dubbio la senatrice, che rappresenta «un piccolo passo avanti», ma rimane «anacronistica». La vera soluzione, ribadisce, «è una riforma costituzionale». E il punto di partenza per capire da che parte andare sono i referendum: «Tutti quei sì non possono essere ignorati».
Senatrice, al netto del quorum, cosa ci dicono i referendum e quale influenza avranno sul futuro delle politiche giudiziarie?
Il mancato raggiungimento del quorum è ascrivibile al silenzio assoluto che ha accompagnato i referendum. Ma i sì sono stati milioni, e non possono essere ignorati, costituiscono il punto di partenza per una riforma costituzionale capace di ridisegnare il Csm, di separare le carriere della magistratura requirente da quella giudicante, di porre fine alle degenerazioni del correntismo della magistratura, di premiare i giudici in base al merito, di limitare gli abusi della custodia cautelare. Anni fa sostenni il referendum contro i divieti sulla procreazione medicalmente assistita, e nonostante una massiccia campagna di comunicazione – ben diversa dal silenzio che ha avvolto i referendum sulla giustizia – non si raggiunse il quorum; eppure quel referendum portò comunque a una consapevolezza nuova del problema e, via via, i divieti cominciarono a cadere. Credo che, anche questa volta, i sì saranno importanti... Anche perché, come è evidente, la riforma della Cartabia cambierà davvero poco. Troppe volte si definiscono “riforme” leggi che di fatto non cambiano nulla.
Lei è stata molto critica sulla riforma Cartabia al Senato nel suo intervento in aula. Ma poi avete votato favorevolmente con qualche astensione. Perché?
È un piccolo passo avanti e presenta qualche correzione al sistema, ma è chiaramente anacronistica. Non affronta i temi cruciali, sembra scritta prima che si scoprisse la gravità della degenerazione delle correnti della magistratura. Per esempio, secondo me, prima ancora che sul sistema elettorale si dovrebbe riflettere su quali siano le personalità che vogliamo che siedano al Csm. Sarebbe servita una riforma costituzionale, e in passato ho più volte sollecitato il ministro in tal senso, ma mi è stato obiettato che non c’erano i tempi. Io credo che se avessimo iniziato l’anno scorso i tempi ci sarebbero stati, eccome. Penso quindi che il ministro Cartabia, che stimo e che ha fatto sforzi per mediare tra le forze politiche, abbia purtroppo perso un’occasione. Certo, nei partiti le sensibilità sulla giustizia sono molto diverse, e non sarebbe stato affatto facile, ma una riforma costituzionale è ormai inevitabile e quindi è stato un errore non provarci, accontentandosi di correggere qualche stortura.
Alcuni temi referendari sono stati bocciati dalla Consulta, ma rimangono attualissimi, tra questi la proposta sulla responsabilità civile dei magistrati. Rimane una priorità per il partito?
Intanto, respingiamo al mittente le accuse di intenti punitivi nei confronti dei magistrati. I magistrati sono per la maggior parte valorosi servitori dello Stato che svolgono silenziosamente il loro lavoro con serietà, abnegazione e spirito di sacrificio. Resta fermo però il principio secondo cui chi commette un errore è chiamato a risponderne, e questo deve valere per tutti. Il tema richiede un approccio equilibrato ed è essenziale in un sistema liberale: una vera riforma – importante, seria ed efficace – non potrà ignorarlo.
Molti analisti ritengono che a penalizzare il referendum sia stata la scelta della Lega di non consegnare le firme in Cassazione e di affidarsi alle delibere dei Consigli regionali. Come risponde a queste obiezioni?
Escludo categoricamente che la questione delle firme possa avere inciso, lo escludo anche perché troppe persone non sapevano proprio che ci fossero i referendum, inutile negarlo.
La Lega ha alle spalle diversi provvedimenti ritenuti giustizialisti, come l’abolizione del rito abbreviato per i reati puniti con l’ergastolo. La campagna referendaria ha però contrapposto alla vecchia immagine securitaria del partito una nuova, attento alle garanzie, almeno su certi temi. Qual è il vero volto della Lega sulla giustizia?
Sicurezza e rispetto delle garanzie difensive non sono affatto incompatibili. La Lega ha a cuore tanto la sicurezza nelle città, nelle strade, nelle periferie, quanto il rispetto del diritto di difesa nelle aule di giustizia. Dopo un giusto processo con tutte le garanzie, se viene accertata la colpevolezza si devono applicare le sanzioni. Ma ribadisco, dopo il processo. Crediamo nella funzione delle sanzioni, ecco perché siamo critici nei riguardi dei vari riti che prevedono sconti di pena solo per finalità deflattive.
Farete una battaglia per tornare sulla questione delle misure cautelari? Anche se nella vostra alleanza elettorale c’è un partito come Fratelli d’Italia che potrebbe marcare la differenza rispetto alla Lega?
In realtà, negli interventi al Senato della scorsa settimana è emersa un’unità di vedute. Ci sono state alcune divergenze – lievi, e comunque superabili – su alcuni quesiti referendari, ma in generale sulla giustizia c’è grande compattezza. Tutte le forze di centrodestra, ad esempio, sono consapevoli della necessità di una profonda riforma costituzionale.
È stato detto da più parti che il quesito sulle misure cautelari avrebbe penalizzato le donne vittime di violenze. Come risponde a queste obiezioni?
Rispondo con una sola parola: falso. È pacifico che il quesito sulle misure cautelari non riguardava affatto i casi di violenza. Mirava piuttosto a limitare gli abusi di custodia cautelare per altri reati, ed erano esclusi i casi in cui sussistesse il pericolo di gravi delitti commessi con armi o altri strumenti di violenza personale. Questa non è una tesi ma un dato oggettivo, basta leggere per rendersene conto. Il fatto grave è che, in assenza di argomenti contro i referendum, si è pensato di poter distorcere la realtà.
Dalla relazione del Garante delle persone private della libertà e dall’intervento della presidente Casellati è riemersa la questione carceri. La soluzione è costruire nuovi istituti o pensare interventi deflattivi?
La soluzione è l’efficienza del sistema: processi dalla durata ragionevole, rispetto delle garanzie difensive, limiti agli abusi della custodia cautelare, certezza della pena e, se necessario, costruzione di nuovi istituti di detenzione nel pieno rispetto della dignità dei detenuti, senza dover ricorrere a decreti svuotacarceri o a provvedimenti di amnistia o di indulto, che hanno il sapore della resa dello Stato.