Il Decreto ' Rilancio' è una chiave che apre quasi tutte le porte. Non c'è dubbio, contiene misure significative.

Rafforzamento e allungamento degli ammortizzatori sociali, cancellazione della prossima rata dell'Irap, giusta regolarizzazione di colf e braccianti, aiuti a fondo perduto alle imprese, bonus di varia natura.

Prevale la logica del risarcimento caso per caso. Bene. Cos'è che manca? Una visione di medio lungo periodo che trascini il Paese fuori dall'emergenza e lo prepari ad affrontare le prevedibili tensioni sociali che in autunno potrebbero manifestarsi.

Una lungimiranza stentata che si mostra sul piano degli investimenti infrastrutturali e con la conferma per altri sei mesi, dunque fino a novembre, dell'emergenza istituzionale.

Grave l'assenza di un piano di investimenti in infrastrutture. Si contano opere bloccate per circa 36 miliardi di euro. Opere che hanno già superato le forche caudine della burocrazia, in parte già cronoprogrammate dai governi passati e quindi cancellate dell'esecutivo Salvini- Di Maio. Sono lì, ferme, pronte per essere rilanciate nei prossimi mesi. Dalla Ionica al Terzo Valico, dall'Alta Velocità Verona/ Vicenza/ Padova al metro di Roma, dalla Fano/ Grosseto alla Tirrenica. Perché sono assenti dal maxi decreto? Cubano almeno 30.000 posti di lavoro e rilanciano un settore in gravissima difficoltà.

Due assiomi. Le crisi partoriscono sempre discontinuità. Sempre! Chi gestisce la fase emergenziale non è detto che governi quella successiva. Cambiano gli umori, tra i cittadini si fanno strada sentimenti diversi dalle passioni con cui hai convissuto nel chiuso di tre stanze. Per affrontare le fasi più delicate serve spirito civico, un sano patriottismo, ' tutti alla stanga' insomma. A cominciare dal Parlamento, senza alcuna differenza tra maggioranza e opposizione.

E invece il governo prolunga di mesi l'emergenza e con ciò logora la normale dialettica parlamentare per sostituirla con Dpcm, commissari del popolo, task force.

Un gravissimo errore. Ovvero: un errore o una scelta? È come se si invitassero i cittadini a immolarsi di faccia al simulacro della paura. Chi ha paura è più propenso ad affidarsi a qualcuno, ragiona di meno, vive in una notte sconfinata. La paura è il sentimento più ostile per chi intenda lottare, impegnarsi, ristabilire una condizione di normalità. Eppure il ritorno alla normalità è proprio quel che ci vuole per sconfiggere la crisi. Agli italiani va fatto un racconto di verità e di speranza, basta coi Dpcm lesivi della Costituzione e dei diritti elementari dei cittadini ora che la fase più acuta della pandemia è superata. E basta con i diktat al Parlamento già avanzati da un paio di ministri: che non si illuda, solo modifiche centellinate al decreto.

Bisogna scendere dal verticismo istituzionale per calarsi nella normalità istituzionale. Si discuta in Parlamento, si riconvochino i consigli comunali e regionali, si faccia rete con le istituzioni locali per coinvolgere i cittadini e non solo informarli in conferenze stampa a reti unificate sui rischi che corrono. La vera rivoluzione sta nel ritorno a procedure corali, condivise. In una parola: al rispetto della Costituzione.