«Non è un caso che il governo sia stato buttato giù da due forze politiche che strizzano locchiolino a Vladimir Putin». Da un mese esatto, da quando cioè ha lasciato il Movimento 5 Stelle e abiurato alla sua storia, Luigi Di Maio non pensa ad altro che ad attaccare quello che lui definisce il partito di Conte. Normale, dunque, che continui a martellare contro i suoi ex colleghi «irresponsabili» nel giorno delle dimissioni irrevocabili di Mario Draghi che segnano, inevitabilmente, limminente fine della sua esperienza al ministero degli Esteri. Solo che Luigi Di Maio, tecnicamente, alla Farnesina siede ancora e, visto laplomb istituzionale che si è cucito addosso, farebbe bene a evitare di lanciare accuse di intelligenza col nemico russo nei confronti di un partito politico italiano. A meno che non abbia prove inequivocabili di possibili relazioni pericolose tra il Movimento 5 Stelle e il Cremlino. Ma anche se le avesse, Di Maio dovrebbe fornire qualche spiegazione in più ai cittadini prima di lanciare accuse e tuffarsi così nella campagna elettorale estiva. Perché il leader di Insieme per il futuro non è solo a capo di un ministero importante da cui potrebbero passare informazioni sensibili su possibili alle interazioni tra Putin e la politica italiana, è anche stato a capo di quel partito, il Movimento 5 Stelle, contro cui oggi punta il dito. Di Maio, dunque, dallalto del suo osservatorio più che privilegiato sul grillismo, sa qualcosa su cui gli elettori dovrebbero essere informati? E se sì, perché ne parla solo ora e non ha denunciato prima, quando era il numero uno dei 5S, eventuali comportamenti opachi del suo ex partito? «Io ho fatto una battaglia interna al Movimento per collocarlo dalla parte giusta della storia, della Nato e dellUnione europea», si limita a dire adesso, dopo aver sganciato lennesima bomba Di Maio. «Quando ho visto che non era più possibile me ne sono andato».Ma il Di Maio che oggi accusa Conte è lo stesso Di Maio che in epoca giallo-verde firmava con Xi Jinping il memorandum di adesione dell'Italia alla Nuova via della seta mandando su tutte le furie lalleato doltreoceano? O è lo stesso Di Maio che nel febbraio del 2019 - con le mostrine di vice premier, ministro dello Sviluppo economico, ministro del Lavoro e capo politico del M5S - si scagliava pubblicamente contro le sanzioni a Mosca? Un errore contro cui «ci battiamo e ci batteremo, non perché siamo filorussi o filoamericani, ma perché siamo filoitaliani», diceva non troppo tempo fa, quando ancora, evidentemente, non aveva trovato luscita per la «parte giusta della storia». Ora che il ministro ha imbocatto un nuovo percorso e cambiato legittimamente idea su molte cose, non cada però nel vecchio vizio populista di attaccare gli avversari con allusioni e insulti gratuiti. Se Di Maio sa che Conte, o chi per lui, ha intrattenuto rapporti di qualche tipo con Mosca parli. E spieghi. Oppure farebbe bene a tacere.