Standing ovation e qualche assenza in Parlamento per il leader ucraino

Nessuna richiesta di no- fly zone, nessun riferimento alla Nato, all’allargamento del conflitto o a un impegno militare diretto del nostro paese nello scenario ucraino.

Ma neanche alla nostra resistenza armata contro il nazifascismo di 80 anni fa come molti si attendevano. La tappa italiana di Volodymyr Zelesky che ieri ha parlato davanti ai deputati e senatori riuniti a Montecitorio è stata senz’altro la meno “bellicosa” e probabilmente la meno ispirata.

Di sicuro un intervento moderato tutto giocato sul registro della pace e della compassione. Paradossalmente il successivo discorso di Mario Draghi è stato molto più duro e risoluto nei confronti della Russia, rivendicando «l’indipendenza energetica da Mosca» e annunciando l’invio di nuove armi all’esercito ucraino.

PULETTI, VAZZANA, ZACCARIA ASSENTE IL MANIPOLO DI PUTIANIANI GRILLINI

Due ore prima dell’intervento alla Camera del presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, il Transatlantico è completamente vuoto. Gli unici a dribblare gli inservienti che lucidano il pavimento sono il tesoriere del Pd, Walter Verini, l’ex presidente della Regione Lazio, Renata Polverini, e il guru della tattica parlamentare, Roberto Calderoli ( in jeans).

È ancora presto, ma i segnali che ad ascoltare Zelensky non ci sarà proprio il pubblico delle grandi occasioni ci sono tutti. Arriva la dem Carla Cantone, che non trovando di meglio si mette a parlare fitto fitto con la Polverini di problemi d’insonnia e tisane rilassanti. Poi d’improvviso spunta Danilo Toninelli, l’ex ministro grillino per cui «l’Ucraina fa parte dell’Unione europea», con zainetto e giubbotto di pelle degni del miglior Renzi ai tempi delle ospitate da Maria De Filippi.

Deputati e senatori cominciano ad arrivare alla spicciolata ( il Parlamento è riunito in “seduta comune informale”, è la terza volta che un capo di Stato straniero parla alla Camera, dopo Giovanni Paolo II e Re Juan Carlos di Spagna) e alcune deputate distribuiscono laccetti rossi «contro la violenza sulle donne, in Ucraina e nel mondo». C’è anche chi arriva in trolley, e l’immagine non può che riportare alla mente quelle due valigie sporche di sangue rimaste sul ponte di Irpin, circondate da corpi inermi di donne e bambini con la sola colpa di non aver saputo correre più veloce dei mortai russi.

Spuntano anche fiocchetti con i colori della bandiera ucraina: li indossano i parlamentari di Italia viva. A mezz’ora dall’inizio della seduta si aprono le porte dell’Aula e comincia il via vai. Arrivano il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Federico D’Incà, ed Enzo Amendola, sottosegretario dem con delega agli Affari europei. Che si ferma a parlare con Tommaso Foti, il deputato di Fratelli d’Italia che due settimane fa esatte urlò «lei mente!», al presidente del Consiglio durante un infuocato question time sul catasto. Roba forte.

Il primo leader di partito ad arrivare ( sarà anche l’ultimo a uscire dall’Aula, dopo aver tenuto a rapporto i suoi), è Matteo Renzi, accompagnato come sempre dal fido Bonifazi. Poi arriva Salvini, che delizia la stampa con parole di pace e che nel pomeriggio presiederà il primo consiglio federale della Lega nella nuova sede romana del partito, niente meno che in via delle Botteghe Oscure.

Sic transit gloria mundi.

Spunta l’immarcescibile Osvaldo Napoli, di recente migrato da Coraggio Italia ad Azione, che con tanto di resoconto stenografico in mano tiene a precisare che fu lui, il nove marzo, a chiedere per primo al governo di far parlare Zelensky in Aula. «Il Pd si è accodato tre ore dopo», chiosa fiero.

Diamo a Osvaldo quel che è di Osvaldo. Julia Unterberger, senatrice delle Autonomie, si presenta in giacca gialla e gonna blu, ma non è l’unica.

Finalmente arrivano il presidente della Camera Fico, la presidente del Senato Casellati e il presidente del Consiglio Draghi. Ci sono tutti, tranne quelli che hanno deciso di non presentarsi «perché Zelensky è di parte». Mah, vai a capire. Con qualche minuto di italico ritardo, finalmente si può cominciare. Il discorso di Zelensky è appassionato, chiama in causa papa Francesco, chiede di immaginarsi Mariupol come fosse Genova ( qui, dieci minuti buoni dopo l’inizio, arriva anche Vittorio Sgarbi) e ringrazia l’Italia per l’accoglienza dei rifugiati. Il tono della sua voce mentre parla di missili e bombe stride con il tintinnio dei cucchiaini in buvette.

La replica di Draghi, dopo la doverosa standing ovation, è più netta, dice che «l’Italia vuole l’Ucraina nell’Unione europea» ( a questo punto Toninelli sarà un po’ confuso) e loda Kiev come «garante della nostra libertà». Mezz’oretta scarsa e sono già tutti fuori dall’Aula, ché i contagi da covid sono in aumento ed è meglio non rischiare. Anche se, in tutto, si conteranno non più di 600 parlamentari presenti su 945.

Salvini, appena uscito dall’emiciclo, dice che «il capo di Stato che più si sta impegnando per la pace è papa Francesco» e che lui ( Salvini) non vuol sentire parlare di armi.

Sul tema, anche Conte fatica a tenere i suoi. Non ci sembra il caso, almeno non oggi, di tirare fuori le foto del leader leghista col kalashnikov in mano.