Si parte da un punto di vista comune: superare l’attuale definizione di violenza sessuale, tuttora ancorata a un’idea di forza invincibile, è un obiettivo indispensabile, oltre che condivisibile. Ma come riscrivere il codice penale senza rinunciare a tutele e garanzie processuali?

Questa volta avvocatura e magistratura si trovano dalla stessa parte del tavolo nel sollecitare la politica a introdurre dei correttivi. Magari con alcuni dei ritocchi proposti ieri nel corso delle audizioni svolte in commissione Giustizia al Senato. Un ciclo breve, diviso in due giorni, voluto dal centrodestra per riformulare il ddl promosso con un accordo bipartisan tra Pd e Fratelli d’Italia.

Il testo, approvato con voto unanime alla Camera, mira a introdurre il principio del consenso “libero e attuale” nell’articolo 609bis del codice penale, che disciplina il reato di stupro. Ma non sono pochi i dubbi espressi sul provvedimento, che al momento resta “congelato” a Palazzo Madama. «Non vi è dubbio che il fenomeno debba essere arginato», ha esordito Giulia Boccassi, vicepresidente dell’Unione delle Camere penali. Ma «di consenso si deve parlare anche e soprattutto al di fuori del codice penale, per riflettere sul suo significato extra giuridico», ha sottolineato, investendo dunque sul piano culturale.

Su quello pratico, le perplessità espresse dai penalisti riguardano soprattutto la determinatezza, dal momento che la «riforma dovrebbe essere finalizzata a ridurre i dubbi applicativi in sede giudiziaria», per evitare «operazioni ermeneutiche molto espansive» che lascino un ampio margine di discrezionalità alla magistratura. In questo senso, la proposta dell’Ucpi valorizza il modello tedesco, che - a differenza di quello spagnolo - si fonda sul dissenso esplicito della vittima (“no è no”).

Questa impostazione, ha spiegato Boccassi, sarebbe «maggiormente aderente ai nostri principi». Inoltre, la definizione di consenso “libero e attuale”, abbinata a una nozione troppo ampia di “atti sessuali”, potrebbe determinare un «aggravio per l’imputato», chiamato a fornire la cosiddetta “prova diabolica” sul consenso espresso dalla presunta vittima. «Appare inoltre irragionevole la parificazione sanzionatoria tra l’ipotesi basata sull’assenza del consenso e le condotte comparativamente più gravi connotate da violenza e abuso», ha spiegato Boccassi. Che propone di sostituire la formulazione attuale di consenso con l’espressione “in violazione del dissenso” o di eliminare quantomeno il requisito dell’attualità.

Leggermente diversa la posizione del presidente dell’Anm Cesare Parodi, che ha portato in audizione anche la sua esperienza di magistrato nel trattare i casi di violenza sessuale. Il leader del “sindacato” delle toghe ha sottolineato la necessità di superare sentenze e domande “moraleggianti”. E non vede il rischio di un’inversione dell’onere probatorio a carico dell’imputato. Ma sarebbe utile “tipizzare” il consenso, chiarendo in che modo vada manifestato.

Per Parodi, la valutazione del contesto, caso per caso, resta infatti irrinunciabile: «Calare le dichiarazioni di entrambi nella realtà specifica di quel momento non è facile - ha osservato - ma è molto importante». E se una norma «dettagliata» è auspicabile, lasciare «una possibilità alla magistratura di integrare le singole condotte» può essere «un rischio dal punto di vista della determinatezza», ma anche una «garanzia».

Il presidente Anm, inoltre, ha sollevato dubbi sulla procedibilità d’ufficio del reato e ha segnalato la difficoltà, per l’imputato, di avvalersi della facoltà di non rispondere, laddove la sua “versione” dei fatti sarà necessaria.

Scrivere norme troppo vaghe rischia invece di produrre effetti indesiderati, a parere dell’avvocato Guido Camera. Che pure concorda sulla necessità di valutare il contesto in cui è maturato il reato, come prescrive peraltro la Convenzione di Istanbul, ratificata dal Parlamento italiano nel 2013. Il legale fonda le proprie riflessioni proprio sul quel provvedimento, proponendo definizioni più dettagliate di “atti sessuali” e di consenso che possano offrire strumenti interpretativi adeguati.

Un «consenso rafforzato», infatti, determinerà necessariamente un’interpretazione giurisprudenziale volta a chiarire il precetto. Laddove, «in un contesto significativo di politica criminale, è giusto rivendicare la riserva legislativa». Dunque, è la proposta di Camera, bisogna tipizzare «l’errore nel fatto», definire cosa si intende per atto sessuale, compresa la molestia, prevedere ipotesi lievi, e non precludere mai – nell’esame incrociato della persona offesa, su cui è intervenuta anche la legge sui femminicidi – le domande volte a definire il contesto e la relazione.

A tirare le fila è la presidente della commissione, la senatrice leghista Giulia Bongiorno. Per la quale bisogna «evitare che questo consenso sia un concetto del tutto astratto ed evitare che al contempo ci possano essere strumentalizzazioni». Oggi se ne discuterà nel seguito delle audizioni, con il presidente della terza sezione penale della Cassazione, Vito Di Nicola, e la coordinatrice dell’Ocf Elisabetta Brusa.