Filippo Turetta, condannato in primo grado all’ergastolo per il femminicidio di Giulia Cecchettin, in carcere dal novembre 2023, è stato aggredito in cella da un altro detenuto. La notizia, riportata da L’Arena, è stata confermata a LaPresse da fonti di polizia penitenziaria. L’aggressione della quale si è saputo solo in questi giorni, è avvenuta lo scorso mese di agosto.

«Non penso che la violenza sia la risposta, ed è il messaggio che vogliamo dare noi», ha commentato Gino Cecchettin, papà di Giulia Cecchettin. «Non mi fa sentire felice che sia stato aggredito - ha affermato, parlando a Pordenone dove ha partecipato alla rassegna Pordenonelegge - perché significa che dobbiamo lavorare. Anche se in contesti come il carcere episodi di violenza possono succedere, sono atti da condannare».

Turetta è rinchiuso nel carcere di Montorio a Verona dal novembre 2023 e dal marzo 2025, invece, è stato trasferito nel reparto dei detenuti comuni da uno protetto. È qui che il 24enne di Torreglia, in provincia di Padova, è stato aggredito da un uomo di 55 anni, in carcere per omicidio e tentato omicidio. Il trasferimento di Turetta in un reparto di detenuti comuni aveva spinto i suoi legali Giovanni Caruso e Monica Cornaviero a inviare una segnalazione alla direzione del carcere, alla Cassazione e alla Procura. «Solo un scrupolo professionale, per il momento», aveva spiegato l’avvocato Caruso, il quale aveva sottolineato che il trasferimento era «legittimo».

Il 3 dicembre 2024, la Corte d’Assise di Venezia (presidente Stefano Manduzio), aveva condannato Turetta all’ergastolo, mantenendo l’aggravante della premeditazione, ma lasciando cadere quelle per stalking e crudeltà. Nelle motivazioni, depositate lo scorso aprile, i giudici avevano spiegato che quelle 75 coltellate inflitte a Giulia Cecchettin non furono “crudeltà”, ma «inesperienza». Allo stesso modo, nelle motivazioni era stato spiegato che «è pacifico che le condotte» di Turetta «abbiano oggettivamente e innegabilmente carattere persecutorio e siano di per sé in astratto idonee a ingenerare nella vittima uno stato di ansia e di paura e così a integrare la materialità del reato», ma «l’aggravante contestata è espressamente circoscritta al periodo “in prossimità e a seguito del termine della relazione intrattenuta”».

Fu la denuncia di scomparsa a dare il via a una storia finita nel peggiore dei modi. Gino Cecchettin, papà di Giulia, si rivolse ai carabinieri la domenica, il 12 novembre 2023: la figlia non era tornata a casa e l’ultimo contatto era stato con la sorella la sera precedente, alle 22.43, con un messaggio su WhatsApp. L’ultima sera della ragazza, prossima alla laurea in Ingegneria biomedica, della quale era stata già fissata la data - il 16 novembre - iniziò con un giro al centro commerciale di Marghera, in compagnia di Turetta. I due, anche se nell’agosto 2023 avevano interrotto la loro relazione, erano rimasti in contatto.

Dopo la cena al McDonald’s, di Cecchettin e Turetta si persero le tracce. Al 112 arrivarono due telefonate, due diverse segnalazioni di un litigio che appariva violento. I militari dell’Arma - si seppe in seguito - non intervennero, nonostante la seconda telefonata, a causa di altre segnalazioni contemporanee. Il corpo di Giulia Cecchettin fu ritrovato sull’argine del lago di Bracis, vicino ad Aviano, in Friuli Venezia Giulia. Turetta aveva scaricato il cadavere di Cecchettin prima di proseguire la sua fuga fuori dall’Italia, con la sua Fiat Grande Punto di colore nero. Una fuga durata pochi giorni, durante i quali nei suoi confronti era stato spiccato un mandato d’arresto europeo.

(Laura Pirone – Lapresse)