Se non fosse per la gravità dei fatti, ci sarebbe anche da ridere visti alcuni contorni che potrebbero appartenere alla scena di un film di Checco Zalone. Nel concorso per entrare in magistratura, bandito sulla Gazzetta ufficiale del 10 dicembre 2021, un candidato si sarebbe accordato con uno dei componenti della commissione esaminatrice per superare l’ultima prova scritta.

La pastetta sarebbe consistita nel rendere riconoscibile, con l’apposizione di un segno, l’elaborato dell’aspirante magistrato. Ma l’imprevisto, come spesso succede, anche se si devono realizzare progetti tutt’altro che limpidi, è dietro l’angolo. Distrazione e sbadataggine fanno il resto. Il candidato in cerca di clemenza e sostegno, come racconta il Corriere delle Sera, invia ad un altro commissario la parola chiave utile a riconoscere l’elaborato da valutare positivamente. Il destinatario del messaggio però non ci pensa due volte e denuncia tutto. Di qui le indagini del Nucleo investigativo dei carabinieri, coordinati dal procuratore capo di Roma, Francesco Lo Voi. Un altro aspetto poco chiaro fa comunque pensare. Come mai un candidato al concorso in magistratura (un tempo definito uno dei più impegnativi, rigorosi e seri) ha a disposizione i numeri di alcuni esaminatori?

Dicevamo prima, distrazione e sbadataggine mettono nei guai l’aspirante magistrato e il professore di diritto amministrativo Francesco Astone, accusati di tentato abuso d’ufficio. Un velo di opacità che ha avvolto il concorso per entrare in magistratura e che ha fatto esprimere pubblicamente sulla vicenda, risalente allo scorso mese di settembre, proprio il capo della procura di Roma. «Abbiamo cercato i profili penali – ha detto Lo Voi, durante un convegno della Corte dei Conti due giorni fa - e se non avessimo avuto il reato di tentato abuso d’ufficio su un fatto come questo, che a me appare grave, non avremmo potuto fare nulla».

Le reazioni non sono mancate, prima di tutto sui social. Tanti si sono chiesti come avrebbe fatto il suo lavoro, superato l’ostico concorso, in un’aula di Tribunale e nelle vesti di pm o di giudicante, il candidato accordatosi con il componente della commissione d’esame. Sulla vicenda interviene anche Stefano Cavanna, avvocato del Foro di Genova, già componente del Csm dal settembre 2018 allo scorso mese di gennaio. «Il procuratore Lo Voi – dice al Dubbio -, ha evidenziato l’evento straordinario dell’errore nell’invio di sms, che ovviamente ha reso palese la situazione. Quando facevo parte del Csm, aprii una pratica in Terza Commissione. Avevo letto sulla stampa e poi ricevetti le segnalazioni di alcuni candidati al concorso in magistratura. Riguardavano diversi casi di elaborati che si presentavano in maniera molto singolare. Per esempio scritti saltando una pagina, scritti sulle pagine solo pari. Ma anche casi di elaborati scritti a mezza pagina. Tutte modalità di redazione che non sono consuete quando una persona scrive su un protocollo, sostenendo una prova d’esame. La mia iniziativa fece all’epoca un certo scalpore». Tutto però finì su un binario morto. «Con l’apertura della pratica – aggiunge Cavanna – ci si soffermò sui poteri in capo al Csm, considerato che la materia è di competenza prettamente ministeriale. I togati presenti a palazzo dei Marescialli apprezzarono la mia iniziativa. Riuscimmo a convocare il presidente della commissione esaminatrice dell’epoca, il quale fu ascoltato e mandò alcune memorie. Emerse poi una situazione che per un cittadino è molto curiosa, non così, però, per un giurista. Il presidente della commissione del concorso sostenne che vennero adottati alcuni criteri conformi alla giurisprudenza del Consiglio di Stato».

A questo punto l’analisi di Cavanna si fa più sconsolata: «Palazzo Spada ha rilevato che un compito, anche se scritto in maniera strana, non è riconoscibile, salvo che non abbia un contenuto e non abbia niente a che fare con l’oggetto dell’esame. Mi colpì un elaborato in cui venne annotata a margine una norma che non c’entrava niente. Quello fu ritenuto un segno di riconoscimento, perché esulava dalla traccia dell’esame. La giurisprudenza del Consiglio di Stato e del Tar mi sembra molto permissiva. È ovvio che se io scrivo un compito su una pagina sì e su una no, oppure a metà pagina o iniziando quattro righe dopo, posso indicare al commissario di turno certi riferimenti per il riconoscimento dell’elaborato. Quanto emerse dalle verifiche che feci avviare mi indussero successivamente a mollare la presa».

La vicenda svelata dal procuratore di Roma fa invece riferimento ad un “fattaccio”, come lo definisce Cavanna. «Il messaggio – conclude l’ex componente del Csm -, inviato a chi non doveva riceverlo, ha fatto emergere quanto abbiamo appreso in queste ore. Tutto il meccanismo, come possiamo ben notare, si trasferisce da un piano amministrativistico ad uno penalistico, con le discussioni che ne sono conseguite sull’abuso d’ufficio. Da ex consigliere del Csm, avendo già sollevato una questione analoga, purtroppo, non mi meraviglio di niente».