LA GRAN PARTE EVITA L’ARGOMENTO PER PAURA

Igiornali di opposizione chiusi, le voci libere messe a tacere. Ieri, ad esempio, al tribunale Dorogomilovsky, a Mosca, quattro ex redattori del magazine studentesco Doxa, accusati dal Comitato investigativo russo di incoraggiare i minori a prendere parte ad attività illegali, sono stati condannati a due anni di «lavori correttivi» e per tre anni non potranno gestire alcun sito web. La loro colpa: la pubblicazione di un video a sostegno di Alexey Navalny. Terrore, delazioni e propaganda: i russi non parlano della loro guerra

Il presidente della Duma: togliere la cittadinanza alla giornalista Marina Ovsyannikova, è una spia

«Marina Ovsyannikova ha ricevuto una proposta di lavoro presso Die Welt. Così è stato svelato il suo trucco durante il telegiornale su Channel One. Ora lavorerà per uno dei paesi della Nato, giustificherà la fornitura di armi ai neonazisti ucraini, invierà mercenari che combatteranno contro i nostri soldati e ufficiali e giustificherà le sanzioni imposte alla Federazione Russa. Sfortunatamente, per tali ' cittadini della Federazione Russa' non esiste una procedura per la privazione della cittadinanza e il divieto di ingresso nel nostro paese. Ma forse sarebbe giusto». Il canale Telegram del presidente della Duma, Vyacheslav Volodin, è un pullulare di “mi piace” e commenti: oltre 23mila pollici in su per la battaglia contro i «traditori nazionali», «l'autopulizia» da condurre in parallelo con la «denazificazione dell'Ucraina». L’operazione passa attraverso lo spegnimento di ogni critica. I giornali di opposizione sono stati chiusi, le voci libere messe a tacere. Ieri, ad esempio, al tribunale Dorogomilovsky, a Mosca, quattro ex redattori del magazine studentesco Doxa, accusati dal Comitato investigativo russo di incoraggiare i minori a prendere parte ad attività illegali, sono stati condannati a due anni di «lavori correttivi» e per tre anni non potranno gestire alcun sito web. La loro colpa: la pubblicazione di un video, nel 2021, che testimoniava l’obbligo imposto agli insegnanti di scoraggiare gli studenti a partecipare a manifestazioni a sostegno di Alexey Navalny.

E proprio mentre la sentenza veniva confermata, davanti al Tribunale, una donna è stata portata via dagli uomini della polizia russa e rinchiusa in carcere per aver gonfiato palloncini con i colori della bandiera ucraina. Gli altri, coloro che si trovavano davanti al Palazzo di Giustizia per manifestare solidarietà ai quattro giovani “dissidenti”, sono stati seguiti dalla polizia. Poche ore prima si era ritrovato con le manette ai polsi l’ex giornalista Vladimir Kara- Murza, uno dei principali oppositori del Cremlino.

È questo il clima che si respira in una terra soffocata dalla propaganda, dalla quale i giornalisti non in linea col regime scappano via, cercando di raccontare da fuori quello che accade a chi, invece, è rimasto. A spiegarci come procede la vita in Russia è dunque chi a Mosca non ci sta più e, protetto dall'anonimato, si fa portavoce con l'Occidente di quei sussurri nascosti provenienti dai colleghi che in patria sono costretti a seppellire il dissenso per sopravvivere. «Quello che sono costretti a fare in Russia non è un vero e proprio lavoro da giornalisti, si tratta di propagandisti - racconta la nostra fonte -. E anche quel limite che si erano imposti, rimanendo sul confine dell’accettabile per non provare troppa vergogna, è stato superato». Le tv raccontano così degli americani che vogliono partire alla volta della Russia, per andare a vivere all’ombra del Cremlino. Quella che era «una linea rossa che i cronisti russi non si permettevano di sorpassare ora è stata valicata - racconta ancora la fonte -. È un grande disastro per la morale: non so quanti anni serviranno per rialzarci».

È l’informazione lo specchio della situazione. Molti «sono ostaggi, anche in senso economico. La gente ha paura di lasciare il lavoro e non trovare nient’altro: magari hanno dei mutui da pagare, genitori e bambini malati che necessitano sempre più soldi. I prezzi sono saliti - spiega - e molti medicinali in farmacia sono spariti». Tra questi quelli per il morbo di Parkinson, che servono a quasi 300.000 pazienti, secondo il quotidiano Kommersant.

Così i media rimasti in Russia sono ormai tutti pro Putin. «E i giornalisti di opposizione - migliaia - sono andati quasi tutti via, verso i Paesi baltici, la Georgia, l'Uzbekistan e anche l’Europa. Da lì cercano di unirsi e continuare a fare ciò che facevano». Sulle tv nazionali provano a far credere che Zelensky sia un drogato, oltre che un nazista. Così circolano video decontestualizzati, prosegue la fonte, senza audio, «per diffondere l’idea che il presidente ucraino non sia normale. Il manuale per la propaganda viene applicato fino in fondo. E anche per chi non ci crede, il dubbio diventa come ruggine: mangia tutto». Chi protesta in piazza finisce in carcere per una notte e se la cava con una multa da 30mila rubli in su. E una volta a casa, magari, si ritrova con una “Z” sul portone, stigma che lo separa dal resto della società, che comincia a guardarlo necessariamente con sospetto. «Nessuno sa cosa significhi esattamente», ma tutti sanno che si tratta di un marchio di infamia.

Ad Aleksei Venediktov, direttore dell'Eco di Mosca - la radio di opposizione chiusa da Putin -, è andata pure peggio: sulla sua porta avevano attaccato uno stemma ucraino con la scritta «maiale ebreo». E ad accompagnare il messaggio, sul pianerottolo, una testa mozzata di maiale con una parrucca simile alla sua capigliatura. Chi manifesta spesso lo fa da solo. Un giovane è finito in cella per aver esposto un cartello con lo stralcio di un vecchio discorso di Putin contro la guerra. Un modo per evidenziare le contraddizioni di un conflitto che per chi vive in Russia si chiama “operazione speciale”. Ed è solo così che viene descritto. Le informazioni che contraddicono questa narrazione girano su Telegram, su canali segnalati come «agenti stranieri», e YouTube, che ancora resiste ai diktat di chi dall’alto vorrebbe chiudere anche quello, come i giornali già ammutoliti dalla propaganda. Su tutti Novaya Gazeta, il quotidiano di Anna Politkovskaja, che il metodo Putin lo ha descritto meglio di chiunque altro. Nelle scuole, gli insegnanti che provano a parlare di guerra vengono puniti. Le loro parole, filmate dai ragazzi con i telefonini, finiscono in rete, e da lì tutto arriva a chi decide il da farsi. Alcuni vengono licenziati, altri si ritrovano con una nota di demerito sul fascicolo professionale, una macchia nera che certifica la loro «incapacità di compiere il proprio dovere professionale». La società è ora divisa in tre gruppi. Il primo «è composto da chi per strada e sui social non nasconde la propria posizione, pur non scontrandosi attivamente con il governo». Il secondo parteggia apertamente per la guerra, «espone la “Z” sulla propria auto e gira con il “nastro di San Giorgio”, originariamente usato per ricordare la vittoria sul nazismo e ora simbolo della “denazificazione dell’Ucraina”». Ma la maggior parte della popolazione, «che sia pro o contro, ha paura di parlare». Ed è la gente che cerca di ignorare la guerra, che preferisce continuare a fare il proprio lavoro, tenendo la tv spenta ed evitando di affrontare l’argomento. Fingendo di non vedere i negozi chiusi per protesta dai grandi marchi esteri, davanti ai quali passeggia a testa alta. «Vanno al cinema, al teatro, ai concerti, ai ristoranti - conclude la fonte -. Come se qui non fosse successo mai nulla».