«Troppe persone facevano pressioni su di lei perché confessasse perché altrimenti sarebbe rimasta in prigione e probabilmente sono stato l'unico a dirle “se sei innocente non puoi confessare qualcosa che non hai fatto”. Da quando glielo abbiamo annunciato, ho parlato con lei 4-5 volte. È la prima volta che la sento felice, è la prima volta che sorride e mi dice: “mi stai dicendo la verità Michalis, vedrò mio figlio?” Questa è stata la sua reazione, profondamente umana». A dirlo è Michalis Dimitrakopoulos, avvocato di Eva Kaili, l’ex vicepresidente del Parlamento europeo in carcere da quattro mesi nell’ambito dell’inchiesta Qatargate.

Per Kaili, ieri, è arrivato il via libera per i domiciliari con il braccialetto elettronico, una decisione che fa il paio con le confessioni dell’ex eurodeputato di Pd e Articolo Uno Antonio Panzeri, uscito oggi dal carcere di Saint-Gilles, a Bruxelles, dopo oltre quattro mesi. Secondo la procura, infatti, la possibilità di inquinare le prove da parte di Kaili sarebbero state ridotte all’osso, proprio grazie alle confessioni di Panzeri, che ha trovato un accordo con le autorità che gli consentirà di scontare solo un anno di detenzione ai domiciliari. Panzeri, così come Kaili, potrà ora tornare a casa con il braccialetto elettronico. Stessa decisione è stata presa a favore dell'eurodeputato belga Marc Tarabella. L'eurodeputata è accusata di partecipazione a un'organizzazione criminale, corruzione e riciclaggio di denaro per influenzare le decisioni dell'Ue su Qatar e Marocco. Accuse che ha sempre respinto, chiarendo dal carcere che «non confesserò mai crimini che non ho commesso, anche se mi fanno a pezzi».

La procura ha chiarito che il rilascio dell’europarlamentare non è un’ammissione della sua innocenza: «Premesso che permangono i presupposti espressi nell'ordinanza di custodia cautelare confermati dai giudici inquirenti rispetto al rischio di recidiva, collusione ed evasione della pena - si legge nel documento firmato dal procuratore Michel Claise -, tuttavia nulla osta alla prosecuzione della carcerazione preventiva con braccialetto elettronico». Insomma, le prove, secondo l’accusa, rimangono solide, concetto che viene invece contestato dai legali della donna, secondo cui tale decisione avrebbe dovuto essere presa «molto tempo fa». E ciò perché «ci sono molti elementi nel fascicolo che stabiliscono senza alcun dubbio che sarà assolta - ha spiegato ai media locali Dimitrakopoulos -. Rispettiamo semplicemente la segretezza delle indagini preliminari e dell'interrogatorio, ed è per questo che non facciamo trapelare altro».

Nessuna impronta sui soldi

Il punto debole del caso, secondo la difesa, starebbe proprio in quella che per la procura belga è la pistola fumante: i soldi trovati in casa di Kaili e del marito Francesco Giorgi, arrestato nell’ambito della stessa inchiesta e spedito ai domiciliari con il braccialetto elettronico a fine febbraio. «I risultati dimostrano che lei non aveva nulla a che fare con quei soldi. Nessuna impronta digitale di Eva Kaili è stata trovata sulle mazzette di denaro. Questa è la prova più forte e ce ne sono altre», ha aggiunto il legale. Che si dice certo del fatto che l’ex vicepresidente del Parlamento europeo «non ha ricevuto un solo euro» sfruttando il suo ruolo politico. Questi quattro mesi in carcere sono trascorsi «in condizioni tragiche - ha aggiunto l’avvocato -, che fino ad oggi non abbiamo reso pubbliche. Posso dirvi che sta uscendo di prigione a testa alta, con dignità e senza aver confessato crimini che non ha commesso». Kaili verrà rilasciata tra oggi e lunedì. E il suo principale pensiero è quello di riabbracciare la figlia, che in questi lunghi quattro mesi ha potuto vedere solo due volte. «Il primo giorno voglio solo essere a casa con mia figlia - ha dichiarato Kaili, come riportato ieri da Repubblica -. Tutto il giorno con lei. Da gennaio la vedevo solo due volte al mese. Rimarrò a Bruxelles, continuerò a lottare per la mia innocenza», ha sottolineato.

«Violate le prerogative parlamentari»

Al netto delle prove che possano giustificare l’arresto di Kaili, ad essere violate, secondo un altro dei difensori della donna, Spyros Pappas, sono state le regole parlamentari. Sentito da Mega, Pappas ha parlato di «un ingiustificato ostacolo alla sua funzione parlamentare», garantita dal Trattato con l'immunità parlamentare, violata «sia durante la perquisizione della sua abitazione sia durante la perquisizione dell'area inviolabile dei suoi uffici presso il Parlamento europeo e durante i suoi 4 mesi di custodia cautelare. Si tratta di una grave patologia della democrazia a livello Ue».

Pappas ha presentato un ricorso al Tribunale dell’Ue contro la decisione della Procura europea di richiedere la revoca dell’immunità dell’europarlamentare, sostenendo l’illegittimità di tale richiesta. Ciò in quanto la prima condizione per la revoca dell’immunità di un deputato dell’Ue – essere colti in flagranza di reato – non è stata soddisfatta. «La polizia ha fatto irruzione nel suo appartamento dopo aver arrestato il padre a qualche chilometro di distanza, fuori da un hotel, con la famigerata valigia presumibilmente presa dal suo appartamento - ha detto il legale qualche settimana fa ad Euractiv -. L’isolamento degli uffici di Kaili e dei suoi assistenti è stata una violazione dei locali del Parlamento europeo. Questo avrebbe potuto essere consentito solo dopo l’autorizzazione della Corte di giustizia dell’Ue, che non c’è stata».

Trattata come un «trofeo»

A commentare il caso anche Sven Marie, altro legale di Kaili, secondo cui gli investigatori belgi non avrebbero nuove prove contro Kaili, trattata come un «trofeo» dagli inquirenti. «Kaili è stata interrogata per due settimane, più di 15 ore in totale. Ha risposto a tutte le domande e a tutte le accuse degli inquirenti. Allora dev'esserci un problema perché né il giudice istruttore, né il procuratore federale, né gli investigatori vogliono sentire le risposte della signora Kaili. Nella loro visione a senso unico, vogliono sentire certe risposte, ma non quelle di Eva Kaili - ha dichiarato ad Euronews -. In casi come questo, persone come Kaili, sono considerati un trofeo o un simbolo e vengono mostrati come la Coppa del mondo di calcio. Come un calciatore alza la Coppa del mondo, qui Eva Kaili viene alzata come un simbolo per dimostrare che anche chi ricopre alti incarichi può rimanere in carcere e soprattutto per spaventare gli altri parlamentari».