Quattro anni dopo un ingiusto arresto, diventa definitiva l'assoluzione di Marco Sorbara, l’ex assessore comunale di Aosta e consigliere regionale, assolto dopo 909 giorni di custodia cautelare. Sorbara era stato condannato in primo grado a 10 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa e poi assolto in appello «perché il fatto non sussiste». Ma la procura generale di Torino aveva impugnato la sentenza, ribadendo la convinzione che il politico, una volta eletto, si fosse messo al servizio di Antonino Raso, ritenuto esponente della locale di ‘ndrangheta. Una convinzione non condivisa dal procuratore generale della Cassazione, che martedì ha chiesto ai giudici di non ammettere il ricorso nei confronti di Sorbara. Per Raso e gli altri tre imputati - l'ex consigliere comunale di Aosta per l'Uv Nicola Prettico, l'ex croupier del Casino de la Vallée di Saint-Vincent Alessandro Giachino e l'ex assessora comunale di Saint-Pierre Monica Carcea - la Cassazione ha annullato con rinvio le condanne, stabilendo che bisogna fare un nuovo processo d'appello.

«Oggi, finalmente, sono davvero libero», commenta al Dubbio Sorbara, visibilmente commosso. Felice, ma anche distrutto, spiega. «Da un lato posso dire che oggi è finito un incubo. Certo, con l’assoluzione in secondo grado ero libero fisicamente, ma quell’assurdo ricorso da parte della procura era come una spada di Damocle sulla testa. Non era una vera libertà. Ho provato molta paura, la paura che pur essendo una persona innocente e onesta potessi continuare a rimanere nel giogo della giustizia. Oggi assaporo per la prima volta, dopo quattro anni, la libertà - racconta -. Dall’altro lato sono completamente distrutto, non mi vergogno a dirlo, perché ho passato anni nella morsa della giustizia, della diffamazione, degli attacchi, a causa di un’accusa devastante, bruttissima». Un dramma morale, ma anche economico, fisico, mentale e reputazionale.

«Ho solo voglia di riprendermi la mia vita - continua -, ma non sarà mai quella di prima. Era perfetta, la mia vita, e ora non sarà più la stessa. Ma voglio ripartire dal 22 gennaio 2019, il giorno prima del mio arresto». I momenti più difficili sono stati la sentenza di primo grado, pesantissima, e il ricorso della procura generale, «perché dopo quell’assoluzione e la certezza di essere innocente non me l’aspettavo. Invece c’è stato. Aspettavo questo momento. Certo avevo paura, certo, perché solo un incosciente non ne avrebbe quando si è consapevoli che ci sono delle persone che per un periodo possono fare quello che vogliono della tua vita. A me lo hanno fatto per quattro anni, ma sapevo che ne sarei uscito. Adesso la mia vita e quella della mia famiglia può ripartire».

Nessun progetto per il futuro e nessuna certezza su un ritorno in politica. «Questa esperienza ha cambiato tutto - spiega -. Per quattro anni non ho avuto progettualità, non ho pensato al futuro. Pensavo solo a questa sentenza. Oggi sto cercando di capire cosa fare da grande. L’unica certezza è che voglio riprendere a vivere». Di certo c’è che chiederà un risarcimento, «ma ci penseranno i miei avvocati - conclude -. Ora devo solo pensare a riprendere a lavorare e guadagnare e ripagare i buchi enormi di questi anni fatti di spese e di nessuna entrata, con i conti bloccati. Posso solo dire che la vicinanza di chi mi vuole bene è stata impagabile».

Quelli trascorsi tra il carcere, i domiciliari e processo sono stati «terribili», aveva dichiarato al Dubbio l’ex politico subito dopo la scarcerazione, anni resi ancora più insopportabili dal sospetto che la sua carriera politica fosse il frutto di un patto scellerato con la ‘ndrangheta, arrivata fino in Valle d’Aosta per avvelenare ogni cosa. Sorbara ha trascorso 214 giorni, di cui 45 in isolamento, in cella, giorni durante i quali ha anche pensato al suicidio. Poi i domiciliari e la lunga attesa della verità. Un’attesa interminabile, nonostante l’assoluzione, stando alle parole dei giudici d’appello, sarebbe potuta arrivare subito: «Analizzando complessivamente le risultanze probatorie afferenti alla condotta intera del Sorbara-politico», si legge nella sentenza, non è stata raggiunta «la prova dell’elemento oggettivo che identifica, per insegnamento del giudice nomofilattico, la modificazione del mondo esteriore dovuta al concorrente esterno nel delitto ex art. 416 bis cp».

Insomma, nel comportamento di Sorbara non c’era nulla che potesse far concludere circa un suo possibile coinvolgimento in attività mafiose. Il sospetto si basava in gran parte sulla sua amicizia con Raso, col quale però avrebbe intrattenuto soltanto un sincero rapporto di amicizia, basato anche sulle comuni origini calabresi. Rapporto che non basta, da solo, a creare quei «presupposti logici» - assenti secondo i giudici - che testimonierebbero il «“previo” arruolamento di Marco Sorbara tra i politici stabilmente “satelliti” del sodalizio attraverso un decisivo appoggio elettorale». Un eventuale sostegno sarebbe peraltro smentito anche dal tenore complessivo delle intercettazioni relative alla campagna elettorale per le amministrative del 2015, dove il nome di Sorbara non compare mai, mentre sarebbero altri i candidati “sponsorizzati”. La sua vera vocazione, secondo i giudici d’appello, era la politica, praticata ben prima della formazione dell’associazione a delinquere scovata dall’indagine. E la sua attività amministrativa è stata passata al setaccio dagli inquirenti «senza che emergessero irregolarità di sorta e men che meno foriere di poter sortire sviluppi in sede penale o di giustizia contabile». Parole che ora trovano conferma anche in Cassazione. Ma solo dopo quattro anni di sofferenze.