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LA CENSURA
«Questa associazione ha annullato la presenza dell’avvocato Stefano Giordano avendo appreso che lo stesso cura professionalmente parte delle controversie del dottor Bruno Contrada». L’incredibile frase appena riportata è contenuta in un comunicato stampa reso pubblico dall’associazione “Amici di Onofrio Zappalà”, che ha deciso di escludere dalla serata del Premio Zappalà 2022 l’avvocato, figlio del giudice Alfonso Giordano, colui che presiedette il maxiprocesso contro la mafia a Palermo. Una scelta dettata dall’attività professionale di Giordano, “reo” di difendere Contrada, «ufficiale di Polizia - continua la nota stampa -, funzionario e agente del Sisde, associato a presunti rapporti tra i servizi segreti italiani e criminalità, culminati proprio nella strage di Via D’Amelio dove morì il giudice Paolo Borsellino e condannato in passato in via definitiva per favoreggiamento alla mafia con sentenza del 2007». Una sentenza poi ribaltata nel 2017, quando la Cassazione, nel processo di revisione, annullò senza rinvio la condanna per concorso esterno in associazione mafiosa, dichiarandola «ineseguibile e improduttiva di effetti penali», poiché al tempo non era previsto il reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Ma il semplice sospetto basta a spingere l’associazione a prendere le distanze, perpetuando l’antipatica convinzione che il difensore sia comunque colpevole degli eventuali reati commessi dai propri assistiti. In questo caso, perfino quando quel difensore è chiamato a rappresentare - perché sangue dello stesso sangue - la memoria di un uomo, come Alfonso Giordano, che la mafia la contrastò a colpi di sentenze. «Pur nella piena rispettabilità dell’avvocato Giordano - continua dunque la nota -, che in maniera del tutto legittima offre le sue prestazioni professionali ad un imputato per mafia ( fatto non vero, ndr), non riteniamo conveniente la sua presenza per motivi di opportunità, visto che parliamo apertamente di mafia, depistaggi e servizi segreti deviati dello Stato. La presenza di Salvatore Borsellino ne accentua tale disagio, visti i tempi di azione ed il tipo di reati a suo tempo contestati».
A spiegare come sono andati i fatti è proprio Giordano, che racconta al Dubbio la telefonata ricevuta a ridosso dell’evento, al quale, ovviamente, non ha più preso parte. «Questo premio veniva conferito alla mia memoria di padre da due associazioni, tra le quali “I Marinoti” - racconta -, i quali mi hanno contattato dicendomi che l’associazione “Agende Rosse” aveva messo un veto sulla mia partecipazione. Da qui ho ovviamente deciso di non presentarmi, pensando che la cosa comunque rimanesse riservata. Quando ho letto il comunicato stampa mi è parsa una presa di distanza: il problema è che io abbia difeso e difenda ancora Contrada, come difendo tante altre persone, innocenti e colpevoli. Io sono un penalista, un docente universitario di diritto penale e mi hanno insegnato che è diritto/ dovere garantire la difesa e farlo con i mezzi stabiliti dalla legge. E questo io faccio: sono una persona corretta e perbene e mio padre era molto fiero del mio lavoro». Il comunicato stampa ha spinto Giordano a replicare pubblicamente, spiegando che la sua mancata partecipazione alla manifestazione è stata «il risultato di una mia scelta personale, non appena ho appreso che alla manifestazione avrebbe preso parte il signor Salvatore Borsellino, con il quale - per molteplici ragioni - non ho mai inteso e non intendo condividere alcuna occasione d'incontro». Ma le esternazioni delle due associazioni hanno colpito soprattutto il lato professionale dell’avvocato siciliano: «Non solo le allusioni e le affermazioni riferite al mio assistito sono radicalmente false ( il dottor Contrada non è affatto “imputato per mafia”) o comunque destituite di qualsiasi evidenza probatoria ( i “presunti” rapporti tra i servizi segreti e la mafia che coinvolgerebbero il dottor Contrada). Ma per quanto qui mi interessa - quella che costituisce una funzione garantita dalla Costituzione ( l'esercizio del diritto di difesa) viene svilita e anzi considerata come una “macchia” che deturpa la mia persona e la mia professionalità, rendendomi indegno - nella sostanza - di rappresentare mio padre Alfonso Giordano in una serata a lui dedicata. La maggior parte degli avvocati è corretta e leale ed è una figura essenziale ai fini dell’accertamento della verità - aggiunge al Dubbio -. Quindi che si consideri il professionista incapace di parlare di legalità, di giustizia e di fenomeni criminali perché è un difensore è frutto di una cultura profondamente errata e miserevole». Il tutto, per giunta, “riducendo” i suoi 25 anni di esperienza alla sola vicenda Contrada. «Inutile dire che, a questo punto, escludo qualsivoglia mia futura partecipazione a eventi organizzati dalle associazioni “Amici di Onofrio Zappalà” e “I Marinoti”, per ricordare mio padre o per qualsiasi altra finalità. Mentre riservo di meglio valutare eventuali profili diffamatori che l'articolo in commento possa presentare».
«Mio padre - spiega ancora Giordano al Dubbio - è sempre stato rispettoso dei diritti di tutti, accusa e difesa. L’idea per cui io sia “indegno” perché ho avuto tra i miei assistiti Contrada mi sembra una follia totale e devo dire che è frutto di una cultura propugnata da forze politiche come il M5S e magistrati vari che pensano di essere gli unici detentori della verità. Quello che scrivono i giudici non vale: il solo Vangelo è quello dei pm, autori di teoremi che, alla lunga, fanno la fine che fanno, perché basati su convinzioni personali, che non sono suffragati dal metodo Falcone, quello dei riscontri delle prove conclude -. Che sono le uniche cose che valgono in un processo».