Con una nota diffusa poco fa, il Consiglio nazionale forense ha reso note le sanzioni, previste dall’articolo 5, comma 5, della legge 49/2023, che contiene “disposizioni in materia di equo compenso delle prestazioni professionali”, per gli avvocati la cui condotta non fosse conforme alla sopracitata disciplina. Le sanzioni, decise dalla massima istituzione dell’avvocatura nella seduta del 23 febbraio scorso, sono contenute in una nuova norma deontologica, in materia di equo compenso, finalizzata a «garantire che gli avvocati ricevano un adeguato compenso per la loro attività professionale, contrastando al tempo stesso il fenomeno delle parcelle troppo basse, o addirittura gratuite», come riporta il comunicato. La nuova disciplina trova posto nell’articolo 25-bis del Codice deontologico forense, che segue l’articolo 25, relativo agli accordi sulla definizione del compenso. Il testo, ricorda la nota di via del Governo Vecchio, «è stato elaborato dalla Commissione Deontologica del Consiglio nazionale forense, approvato in prima battuta dal Cnf nell’ultima seduta amministrativa del 2023» ed è stato quindi «inviato, come previsto dalla legge professionale, ai Consigli dell’Ordine degli avvocati per la necessaria consultazione, e infine approvato in via definitiva, con anche alcune integrazioni emerse, dal Cnf, nella seduta amministrativa di venerdì scorso». Le modifiche, precisa ancora il comunicato, «entreranno in vigore dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, completando l'iter previsto dall’ordinamento forense».
Nel dettaglio, secondo la nuova norma deontologica, «l’avvocato non può concordare o preventivare un compenso che, ai sensi e per gli effetti delle vigenti disposizioni in materia di equo compenso, non sia giusto, equo e proporzionato alla prestazione professionale richiesta, e non sia determinato in applicazione dei parametri forensi vigenti». La violazione comporta «l’applicazione, in sede disciplinare, della censura, e, nei casi in cui l’avvocato stipuli una qualsiasi forma di accordo con il cliente, la norma richiede l’obbligo ad avvertire per iscritto il cliente che il compenso per la prestazione professionale deve rispettare i criteri stabiliti dalla legge, pena la nullità della pattuizione. La violazione di questa seconda disposizione normativa comporta l’applicazione della sanzione disciplinare dell’avvertimento».
Vale la pena ricordare che, secondo l’articolo 53 della legge 247/2012, la censura consiste nel biasimo formale, e si applica quando la gravità dell'infrazione, il grado di responsabilità, i precedenti dell’incolpato e il suo comportamento successivo al fatto inducono a ritenere che egli non incorrerà in un’altra infrazione. Sempre in base all’articolo 53, l'avvertimento consiste nell’informare l’incolpato che la sua condotta non è stata conforme alle norme deontologiche e di legge, con invito ad astenersi dal compiere altre infrazioni, e può essere deliberato quando il fatto contestato non è grave, e vi è motivo di ritenere che l’incolpato non commetta altre infrazioni.
La decisione del Cnf è in linea con la già citata disposizione che si trova nel comma 5 dell’articolo 5 della legge sull’equo compenso, che recita quanto segue: “Gli ordini e i collegi professionali adottano disposizioni deontologiche volte a sanzionare la violazione, da parte del professionista, dell'obbligo di convenire o di preventivare un compenso che sia giusto, equo e proporzionato alla prestazione professionale richiesta e determinato in applicazione dei parametri previsti dai pertinenti decreti ministeriali, nonché a sanzionare la violazione dell'obbligo di avvertire il cliente, nei soli rapporti in cui la convenzione, il contratto o comunque qualsiasi accordo con il cliente siano predisposti esclusivamente dal professionista, che il compenso per la prestazione professionale deve rispettare in ogni caso, pena la nullità della pattuizione, i criteri stabiliti dalle disposizioni della presente legge”. Riguardo alla procedura del sanzionamento, bisogna rifarsi all’articolo 51 della legge 247/2012, il quale prevede che le infrazioni sono sottoposte al giudizio dei Consigli distrettuali di disciplina.