Troppi testimoni? Un “tentativo” di difendersi «dal processo» e non «nel processo». A dirlo è la pm Valentina Salvi, titolare del procedimento “Angeli& Demoni” contro i presunti affidi illeciti in Val d’Enza, che lunedì ha depositato in udienza una memoria contenente le deduzioni relative alle liste testi presentate dalle difese dei 17 imputati.

Testimonianze, secondo la magistrata, superflue, irrilevanti, eccessivamente numerose (circa 300 contro i 230 chiesti dalla procura), richieste soltanto con lo scopo specifico questa la tesi della pm - di dilatare i tempi del processo. La Corte ha alla fine ammesso tutte le richieste ( circa 500 testimoni), riservandosi di revocare in futuro qualche teste se ritenuto ridondante. Ma Salvi non si è limitata ad obiettare la rilevanza delle richieste, puntando il dito contro le difese e contestando loro il tentativo di dilatare i tempi del processo, così come già fatto, mette nero su bianco, nel corso dell’udienza preliminare.

«Lo scopo ultimo perseguito da alcune difese - scrive infatti la pm - è costituito non tanto dal difendersi “nel” processo bensì difendersi “dal” processo. Ciò a significare che, come in udienza preliminare, sono state sollevate eccezioni esclusivamente strumentali a dilazionare il più possibile quella fase processuale ( 12 mesi di udienze) così, ora, il medesimo scopo pare essere perseguito mediante il deposito di liste contenenti centinaia e centinaia di testimoni la maggior parte dei quali nulla possono riferire rispetto ai fatti oggetto delle imputazioni».

I primi “colpevoli” di quella che agli occhi dell’accusa appare come una strategia sono i difensori dei due principali imputati, ovvero gli avvocati Nicola Canestrini ( legale di Francesco Monopoli), Oliviero Mazza e Rossella Ognibene ( legali di Federica Anghinolfi), che nel tentativo di smontare l’idea di un metodo sotteso alla gestione dei casi riguardanti i minori seguiti dai servizi sociali hanno chiesto, tra gli altri, di sentire testimoni in grado di certificare la loro professionalità e il loro modus operandi. E ciò per dimostrare, soprattutto, che quello degli affidi, per gli assistenti sociali, non era un business, come potrebbero contribuire ad evidenziare, secondo le difese, i casi in cui sono stati proprio gli imputati a ritenere non necessario un allontanamento dei minori dalle famiglie. Per la pm, però, non servirebbe a nulla. Tanto da fare un parallelismo: per la pm sarebbe come se, nel caso di un furto all’interno di un supermercato, «la difesa dell'imputato citasse quali testimoni titolari e dipendenti di decine e decine di esercizi commerciali, i quali avrebbero da dire che all’interno di quei negozi l'imputato non aveva commesso alcun delitto».

Per Salvi, dunque, il solo scopo perseguito dagli avvocati è quello «di impegnare decine di udienze al fine di dilatare il più possibile i tempi di conclusione di quel processo. Unica lettura alternativa sarebbe astrattamente rinvenibile nella circostanza che quelle difese ritengano realmente rilevanti e giuridicamente ammissibili quelle testimonianze, cosa quest’ultima talmente surreale che tale ipotesi alternativa si ritiene sin da subito da scartare non avendo infatti alcun dubbio sulla professionalità delle citate difese». Professionalità che, però, viene messa in discussione, data l’accusa esplicita di voler dilatare i tempi del processo in maniera strumentale. «Nulla quaestio ovviamente sul legittimo tentativo delle citate difese di portare avanti il più possibile la definizione del processo - sottolinea la pm - ma, nel rispetto dei principi costituzionali e comunitari in tema di ragionevole durata del processo e soprattutto a tutela del diritto delle parti offese, tra cui minorenni, ad avere giustizia in tempi equi, è doveroso da parte di questa Procura chiedere al collegio giudicante di non ammettere ab initio le testimonianze che già prima facie appaiono manifestamente non pertinenti, irrilevanti o superflue».

Ma la ragionevole durata del processo «è a favore dell’imputato, non contro di lui - commenta Canestrini -. Non si possono comprimere i diritti della difesa per la ragionevole durata del processo. Inoltre vorrei ricordare che le eccezioni che per la pm sono state “strumentali” sono state tutte accolte dal gup, che ha sempre ordinato di integrare gli atti mancanti. Se ci fossero stati non avremmo avuto bisogno di sollevarle. Non è ammissibile che chi si difende venga accusato di ostacolare la giustizia».

A far infuriare gli avvocati anche la scelta di depositare, senza esporla in aula, la memoria, che è stata presentata in un’unica copia “contesa” poi tra i presenti. Le difese avevano chiesto di ascoltare anche i bambini allontanati dalle famiglie, richiesta contestata dalla pm, secondo cui non è necessario «ricostruire le vicende degli abusi sessuali o dei maltrattamenti oggetto dei citati procedimenti penali. I delitti di falso qui contestati - si legge nella memoria - hanno ad oggetto solo ed unicamente le singole circostanze storiche di fatto sottese a quelle valutazioni e a quei provvedimenti».

Ma la loro testimonianza, secondo le difese, è necessaria proprio per dimostrare l’esistenza o meno del falso: «Per stabilire cos’è falso bisogna stabilire cosa sia vero - conclude Canestrini -. Siccome viene contestata la veridicità di quelle relazioni, parlando di abusi inventati e perizie falsificate, il minimo è ricostruire i fatti».