A OTTO MESI DALL’INVASIONE DI MOSCA DI NUOVO IN PIAZZA

Sono passati poco meno di otto mesi dall’invasione russa e ieri la comunità ucraina in Italia è tornata a manifestare a pochi passi dall’ambasciata di Mosca a Roma per chiedere la pace attraverso il ritiro delle truppe di Putin dal territorio di Kiev.

Una pace “giusta”, dunque, che non passi per la resa dell’Ucraina e che restituisca al paese del presidente Zelensky i territori così com’erano prima del 2014. Alla manifestazione, organizzata dal Movimento europeo di azione nonviolenta, il cui portavoce Angelo Moretti ne ha spiegato i motivi. «Occorre ristabilire la verità, visto che nell’ultimo periodo si fanno troppi distinguo - ha detto Moretti - C’è un aggressore, che è la Federazione russa, e un aggredito, che è l’Ucraina: qualsiasi discorso sulla pace deve partire da qui».

C’è Fatima, una dissidente russa nata in Ossezia del Nord ma che da anni vive in Italia e che urla tutta la sua contrarietà al regime di Mosca con un cartello con su scritto: «Putin togli le mani dall’Ucraina».

Ci sono donne e bambini, giovani e vecchi che chiedono pace per le proprie comunità e indipendenza per il proprio paese. C’è Ludmyla, da vent’anni in Italia, con una bandiera sulle spalle. E c’è Viktor, che ha amici al fronte e cerca di sostenersi intonando l’inno ucraino. E ci sono le associazioni e la politica, venuta a testimoniare la propria vicinanza al popolo aggredito. O meglio, una parte della politica.

C’è il Pd al gran completo, dal segretario Enrico Letta alle due capogruppo di Camera e Senato, Deborah Serracchiani e Simona Malpezzi. C’è Azione, con Carlo Calenda e Maria Stella Gelmini. E c’è + Europa, con Emma Bonino e Benedetto Della Vedova. Ci sono Marco Bentivogli e Pier Ferdinando Casini, Gianni Cuperlo e Laura Boldrini.

«Noi partecipiamo a tutte le manifestazioni che vogliono la fine della guerra e che non siano equidistanti - ha detto Letta Tutte le manifestazioni che dicano con chiarezza c'è un aggredito, che è il popolo ucraino, e c'è un aggressore: la Russia». E se per Emma Bonino «Putin prima o poi deve essere trasferito a L’Aia», secondo Calenda «non può esserci pace senza libertà e non si può arrivare alla pace con la capitolazione di una delle due parti». Cioè con la resa di Kiev. D’accodo Bentivogli, secondo il quale «serve la pace ma che sia una pace giusta».

L’intento del Mean, sottolinea Moretti, è quello di far sentire la propria voce direttamente in Ucraina, stando al fianco di quel popolo come in occasione della marcia per la pace organizzata a Kiev a luglio. «Tra due settimane saremo a Leopoli e poi forse a Odessa», scandisce il portavoce.

E mentre la sera scende su castro pretorio, a pochi metri dall’ambasciata russa a Roma, le bandiere gialle e blu di Kiev continuano a sventolare e chiedere soltanto una cosa: «pace».