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Il primo decreto è sull’ergastolo ma non va nella direzione indicata dalla Consulta. Rinviata la riforma Cartabia
La prima mossa del governo Meloni sull’ergastolo ostativo non è solo il ricalco della proposta di legge approvata alla Camera, ma presenta punti “peggiorativi” già contenuti nel disegno di legge grillino che fu presentato dall’ex sottosegretario alla Giustizia Vittorio Ferraresi. Nel decreto legge varato dal Consiglio dei ministri ha vinto la concezione illiberale del diritto penale. Ergastolo ostativo Meloni sfida la Consulta e fa asse con Conte
Non solo riprende il testo già approvato, ma inserisce punti della vecchia proposta dei 5Stelle
L’ALLARME DELL’UCPI: “AGGRAVA GLI EFFETTI DELLE OSTATIVITÀ RELATIVI AD UN BEN PIÙ AMPIO CATALOGO DI REATI”
La prima mossa del governo Meloni sull’ergastolo ostativo non è solo il ricalco della proposta di legge approvata alla Camera, ma presenta punti “peggiorativi” già contenuti nel disegno di legge grillino che fu presentato dall’ex sottosegretario alla Giustizia Vittorio Ferraresi. Nel decreto legge varato dal Consiglio dei ministri ha vinto la concezione illiberale del diritto penale che attraversa - tranne alcune eccezioni come Forza Italia, Terzo polo e parte del Pd -, quasi tutto l’arco parlamentare attuale.
Di fatto, già la legge che fu approvata dalla Camera, seppur depurandola di alcuni punti della proposta grillina, non era in linea con le indicazioni date dalla Consulta. Aveva infatti posto ulteriori paletti come l’eliminazione delle ipotesi di collaborazione “impossibile” e “inesigibile”. In sostanza, verrà meno la possibilità per rarissimi casi di ergastolani ostativi di poter accedere ai benefici perché, solo per fare un esempio, l’organizzazione di appartenenza non esiste più e qualsiasi collaborazione con la giustizia non servirebbe. Oppure, altro esempio, l’ergastolano ha avuto una posizione talmente marginale nell’associazione mafiosa, che pur volendo collaborare non può visto la non conoscenza completa dei fatti. Eliminando tutto questo ( il decreto legge avanzato dal governo Meloni lo riprende), si va contro le indicazioni della sentenza costituzionale stessa che sancisce la differenza tra la mancata collaborazione per scelta con quella per impossibilità.
Il decreto legge Meloni riprende anche l’aumento da ventisei a trenta anni di pena da scontare prima di poter presentare l’istanza di liberazione condizionale. Così come, ed è anche ciò che hanno sottolineato i penalisti delle Camere penali, non si dice che nell’ostatività finiscono anche i reati contro la pubblica amministrazione, proprio insieme ai delitti di criminalità organizzata, terrorismo, eversione dell’ordine democratico, riduzione in schiavitù, prostituzione minorile, sequestro di persona e così via.
Parliamo dell’abnormità della “spazzacorrotti”, la riforma Bonafede. Ha vinto, di fatto, la propaganda di una parte consistente dell’informazione, soprattutto quella che è di “opposizione”. Una opposizione che pretende, riuscendoci, leggi più vicine allo Stato di polizia che di Diritto. Paventando il pericolo inesistente della scarcerazione facile dei boss stragisti ( una bufala smentita dai fatti, leggasi le istanze sui permessi premio respinte ai Graviano), si aggirano le indicazioni della Corte costituzionale, per rendere quasi del tutto impossibile la concessione dei benefici per chi si è macchiato di reati ostativi.
Il decreto legge, com’è detto, non ricalca esattamente la proposta di legge votata alla Camera, ma inserisce punti ulteriormente peggiorativi già avanzati dai Cinque stelle. Ad esempio c’è il depotenziamento interpretativo che consentiva il cosiddetto scioglimento del cumulo il quale permetteva di ritenere cessata l’ostatività una volta scontata la parte di pena relativa appunto ai delitti ostativi. Come sintetizza bene Vincenzo Giglio sul blog Terzultima fermata, con il decreto legge lo scioglimento non sarà più permesso nei casi in cui il giudice della cognizione ( o, in alternativa, il giudice dell’esecuzione o il giudice di sorveglianza) abbiano accertato la sussistenza di una connessione qualificata tra il delitto non ostativo e quello ostativo, connessione che ricorre in particolare quando il delitto ostativo sia stato commesso «per eseguire od occultare uno dei reati di cui al primo periodo, ovvero per conseguire o assicurare al condannato o ad altri il prodotto o il profitto o il prezzo ovvero l’impunità di detti reati». Per quanto riguarda i due requisiti per accedere ai benefici, ovvero la mancanza di collegamenti e la mancanza di pericolo di ripristino, il decreto legge li riprende dalla sentenza della Consulta sul permesso premio. Ma aggiungendo, come prevedeva già il testo approvato alla Camera, la cosiddetta “probatio diabolica” a carico del richiedente. Dopo 30 anni di carcere, il detenuto stesso deve dimostrare il mancato pericolo di ristabilire il collegamento con il contesto territoriale suo e dei suoi. Cosa significa? La fine delle misure alternative, non solo per i “sanguinari”, ma anche per tutti quelli che verranno condannati a pene anche più contenute.
In sostanza, il criterio di ammissione alle misure sarà quello dettato per l’ergastolo ostativo. E sul punto, come già detto, l’Unione delle Camere penali italiane lancia l’allarme, sottolineando «la manipolazione informativa che sta accompagnando l’adozione di questo provvedimento, indicato come relativo al solo tema dell’ergastolo ostativo, quando invece esso riguarda ed aggrava gli effetti delle ostatività relativi ad un ben più ampio catalogo di reati, a cominciare da quelli contro la pubblica amministrazione». Entro due mesi questo provvedimento dovrà diventare legge, martedì prossimo 8 novembre dovrà pronunciarsi però la Consulta. Quest’ultima prorogherà per la terza volta la scadenza?