Il tribunale civile di Catania è perentorio: il decreto interministerale è “illegittimo” in quanto “consente il salvataggio (comprensivo dell'approdo e sbarco in luogo sicuro) solo a chi sia in precarie condizioni di salute, contravvenendo al contenuto degli obblighi internazionali summenzionati, in materia di soccorso in mare”.

Il riferimento è al caso della Humanity 1 cui fu imposto il divieto di sostare nelle acque territoriali il 4 novembre scorso al termine dello sbarco “selettivo”, ossia di una parte dei 179 migranti soccorsi; a 35 di loro, uomini ritenuti sani, fu impedito di sbarcare, intimando alla nave di lasciare insieme a loro le acque nazionali. La conclusione della giudice Maria Acagnino nella sua ordinanza di 11 pagine, è che “laddove non fosse cessata la materia del contendere, per l'avvenuto sbarco, il ricorso sarebbe stato accolto”. I ministeri dell'Interno, della Difesa e delle Infrastrutture e delle Mobilità sostenibili sono stati condannati comunque a rifondere ai ricorrenti le spese del giudizio.

Nel testo viene fatto richiamo al pronunciamento della Cassazione che ha affermato che “nell'ambito dei doveri di soccorso in mare che gravano sul comandante dell'imbarcazione, il dovere di soccorso non può considerarsi adempiuto con il solo salvataggio dei naufraghi a bordo dell'imbarcazione e con la loro permanenza su di essa, ma comprende altresì lo sbarco degli stessi presso un “luogo sicuro” (piace of safety), e cioè in un luogo dove le operazioni di soccorso si considerano concluse, la sicurezza dei sopravvissuti e la loro vita non è più minacciata, le necessità umane primarie (come cibo, alloggio e cure mediche) possono essere soddisfatte e può essere organizzato il trasporto dei sopravvissuti nella destinazione vicina o finale; una nave in mare che presta assistenza non costituisce “luogo sicuro”, se non in mera via temporanea, giacché essa, oltre ad essere in balia degli eventi metereologici avversi, non consente il rispetto dei diritti fondamentali delle persone migranti soccorse, fra i quali va incluso il loro diritto a presentare domanda di protezione internazionale” (Cassazione penale, sez. III, 16/01/2020, n. 6626).

Altro profilo rilevante è l'incidenza del decreto interministeriale sul diritto dei migranti di presentare domanda di protezione internazionale. La normativa nazionale, ricorda il tribunale, prevede che “lo straniero rintracciato a seguito di operazioni di salvataggio in mare, sia condotto per le esigenze di soccorso e di prima assistenza presso appositi punti di crisi dove è assicurata l'informazione sulla procedura di protezione internazionale, sul programma di ricollocazione in altri Stati membri dell'Unione europea e sulla possibilità di ricorso al rimpatrio volontario assistito”.

La domanda di protezione internazionale “è presentata personalmente dal richiedente presso l'ufficio di polizia di frontiera all'atto dell'ingresso nel territorio nazionale o presso l'ufficio della questura competente in base al luogo di dimora del richiedente”. Si tratta di normative, sia interne che internazionali, rileva il tribunale civile etneo, “che non consentono alla pubblica amministrazione di introdurre divieti o di discriminare, fra i migranti, in forza della ricorrenza di presupposti diversi e che impongono tempi brevi per l'inoltro della domanda e per l'accertamento del diritto alla protezione richiesta, proprio in considerazione della particolare vulnerabilità di chi, soccorso in mare, riesca ad approdare sul territorio di uno dei Paesi membri dell'Unione”.

In presenza di domanda di protezione internazionale, sorge l'obbligo dello Stato italiano a registrare tale domanda, consentendo la regolarizzazione, seppure temporanea (il permesso di soggiorno ha durata semestrale, rinnovabile fino alla durata del procedimento dinanzi alla Commissione Territoriale competente) della permanenza del migrante nel territorio dello Stato. La violazione di questo obbligo “si pone in contrasto anche con il divieto di trattamenti inumani o degradanti” che sancisce il divieto di espulsioni collettive”.

Nel novembre 2022, Sos Humanity, insieme ad avvocati italiani, ha sostenuto i 35 sopravvissuti rimanenti a cui inizialmente non era stato permesso di sbarcare su Humanity 1 avviando un procedimento giudiziario accelerato presso il tribunale civile di Catania. L'obiettivo era garantire che il loro diritto di richiedenti protezione ad accedere a una procedura formale di asilo a terra fosse garantito con urgenza. Prima che il tribunale potesse prendere una decisione, i migranti su Humanity 1 sono stati autorizzati a sbarcare l'8 novembre 2022: “Questo cambio di politica è avvenuto dopo l'ampia copertura mediatica della selezione dei richiedenti protezione a bordo, le proteste locali e l'annuncio di un sciopero della fame dei 35 sopravvissuti seguito da una valutazione psicologica”, spiega la Ong. 

“Questa sentenza di un tribunale italiano sottolinea che il nuovo governo italiano è obbligato a seguire il diritto internazionale”, afferma Mirka Schaefer, Advocacy Officer di SOS Humanity. I diritti dei rifugiati che chiedono protezione internazionale “non possono essere lesi privando alcuni di loro del diritto di chiedere asilo in uno Stato membro dell'Ue”. Il giudice sottolinea l'obbligo dell'Italia di fornire assistenza a ogni persona naufragata, “cosa che il governo italiano non ha fatto nel novembre 2022. Inoltre, l'Italia sta violando questo dovere con il nuovo decreto-legge del 2 gennaio 2023 che limita la ricerca non governativa e salvare. Questo nuovo decreto contraddice il diritto marittimo internazionale, i diritti umani e il diritto europeo e porterà a più morti nel Mediterraneo. Chiediamo ai parlamentari italiani di votare mercoledì contro questo decreto illegittimo e di impedirne la conversione in legge nazionale”.