Il piacere che dà la caduta di un potente o di una persona famosa non è un sentimento nuovo. Più si sta in alto, più è forte il tonfo, anche perché sotto ad aspettare chi crolla c’è la folla plaudente. Ma questa sorta di rito che sopravvive dalla notte dei tempi, assume una particolare ferocia quando la folla plaudente ha a disposizione un nuovo strumento come i social network.

La storia del cantante Marco Carta, prima arrestato e poi rinviato a giudizio per un furto di magliette alla Rinascente di Milano, è emblematica di come oggi si reagisca rispetto alle accuse mosse a qualcuno più importante di noi. Quanto la notizia ha avuto risalto su siti, tv e giornali che hanno titolato a carattere cubitali come se fosse stato finalmente catturato Jack lo Squartatore “arrestato Marco Carta”, su facebook e su twitter c’è stata una gara, non di solidarietà, ma di condanna. L’utente dell’acquario del web dopo qualche secondo aveva già deciso: il vincitore di Sanremo 2009, uno dei volti più noti del talent Amici, è colpevole. L’entità del furto, 6 magliette per un totale di 1200 euro, ha impedito di usare toni particolarmente aggressivi. Una volta tanto a nessuno è venuto in mente di invocare la pena di morte o l’ergastolo.

Per quanto crudeli, i commentatori hanno dovuto frenare il loro desiderio di vendetta. Su una cosa però non hanno ceduto: la convinzione che se si è accusati, bisogna aver per forza commesso qualcosa di sbagliato. La presunzione di innocenza non vale neanche in questo caso, quando in gioco non c’è l’accusa di omicidio, ma di aver rubato alcune magliette.

La prima udienza è stata fissata per il 20 settembre, a processo non solo Carta ma l’amica con cui si trovava venerdì scorso alla Rinascente, indicata da alcuni organi di stampa, che ne hanno fornito ampiamente le generalità, come la vera responsabile. Vedremo. Per fortuna non siamo noi a dover decidere su facebook, né saranno i giornali ad emettere la sentenza. Non solo abbiamo già deciso che sono colpevoli, ma abbiamo anche dimenticato la pietà. Quello che forse più colpisce di questa vicenda è come molti si siano sentiti in dovere, non solo e non tanto di condannare, ma di ironizzare» : una feroce ironia. In pochi, almeno sul web, hanno provato pietà per una persona, che proprio perché famosa viene ancora di più travolta da episodi come questo, vere o false siano le accuse.

Darebbe un po’ di sollievo davanti ad eventi che risultano ancora avvolti dall’incertezza chiedersi, non se uno è colpevole o meno, ma come mai si è trovato coinvolto, cosa lo abbia spinto, quale sia stata la dinamica. Sarebbe cioè umano, mettersi nei panni dell’altro, provare a capire che cosa stia provando, tentare di comprendere le sue ragioni, giuste o sbagliate che siano. Ci metteremmo così non dalla parte dei giudici, ma proveremo a restare quello che siamo: persone come le altre con tutti i nostri pregi e i nostri difetti.