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Se intorno alla metà di gennaio qualcuno avesse parlato di una guerra imminente sarebbe apparso come un esagerato allarmista e se poi fosse passato a indicare il rischio di un guerra mondiale lo avremmo preso per pazzo. Tra le caratteristiche della guerra ucraina c'è infatti, almeno agli occhi del grosso dell'opinione pubblica, la repentinità del tutto inattesa con cui la crisi è esplosa. La stessa cosa, in piccolo, può forse dirsi della situazione politica interna dell'Italia. Chi, appena dieci giorni fa, avesse vaticinato un concreto rischio di crisi sarebbe sembrato fuori dalla realtà. Quel rischio invece c'è e, comunque vada a finire, ha già smantellato la favola del Parlamento “unito e compatto” in un frangente così estremo. Eppure il Parlamento è davvero stato, subito dopo l'inizio della guerra, unito come mai prima, con l'opposizione di gran lunga più rilevante, quella di FdI, d'accordo con il governo su tutto, armi all'Ucraina, sanzioni contro la Russia anche a costo di pagare un prezzo alto, innalzamento delle spese militari sino al 2 per cento del Pil, con incremento di una quindicina di miliardi. Nessuno di questi punti sembrava dover dividere la maggioranza, nonostante sfumature sensibilmente diverse tra i falchi, cioè Pd, Fi, Iv e la stessa FdI, e le colombe, Lega, M5S e Iv. Tutti avevano comunque votato, a Montecitorio, l'odg presentato dalla Lega che chiedeva appunto l'incremento della spesa militare.
Tra gli strumenti parlamentari gli odg sono forse il più irrilevante, non comportando nessun tipo di impegno reale per il governo: un parere o poco più. A imporre l'aumento non sono certo le Camere italiane: arriva dalla Nato e segnatamente dagli Usa, stanchi di pagare perl'intera Alleanza atlantica, la pressione ultimativa perché tutti i Paesi si decidano a dar seguito all'impegno, per la verità mai ratificato dal Parlamento italiano, di portare al 2 per cenro del Pil le spese per esercito e armamenti. Si tratta di una di quelle richieste alle quale, in un momento come questo, nessuno può permettersi di rispondere picche. Tutt'alpiù si può ricorrere a espedienti come quello indicato dall'odg della Camera, che chiede di progredire verso quell'obiettivo senza fissare tempi precisi. Una elasticità che però rischia di cozzare con la disposizione degli Usa e dunque della Nato stessa, che è invece ben poco flessibile. Poi però i 5S o almeno l'ala contiana, LeU e persino la Lega hanno cambiato idea su quella spesa aggiuntiva effettivamente onerosa. Conte strappa e afferma che non voterà l'aumento, Salvini concorda. Si è così scatenata negli ultimi giorni una di quelle partite bizantine che marcano la politica italiana, sull'odg da presentare, o da non presentare, quando il dl Ucraina arriverà al Senato: quello della Camera non può infatti essere riproposto, pena la spaccatura della maggioranza. I5S pensavano a un proprio odg un po' da azzeccagarbugli, che avrebbe dovuto confermare sì l'nnalzamento della spesa subordinandolo però agli interventi contro la crisi: prima i sostegni e i tagli delle bollette, poi, se avanza qualcosa. I 5S avevano rinunciato all'idea in cambio dell'impegno di tutta la maggioranza di sorvolare sul capitolo dolente. Però si è messa in mezzo FdI, con un suo odg secco a favore della spesa incrementata e così, per evitare lacerazioni, la maggioranza sta ora lambiccandosi il cervello per partorire un suo odg che dica tanto poco da poter essere accolto da tutte le forze che sostengono il governo.
Trattandosi di odg la baruffa è in sé poco incisiva. Solo che a giorni il governo dovrà varare, e poi il Parlamento votare, il Def, nel quale dovrebbero essere messi nero su bianco e quantificati gli aumenti della spesa armata nei prossimi anni. Se Conte darà seguito a quanto annunciato e a maggior ragione se Lega e LeU si muoveranno allo stesso modo la spaccatura si verificherà su un terreno molto più solido degli odg e una crisi che d'improvviso è nel Palazzo sulla bocca di tutti sarà inevitabile.
In questi casi, di solito, l'inesauribile fantasia della politica italiana riesce sempre a inventare una via d'uscita. Probabilmente sarà così anche stavolta. Ma la spesa militare non è un tema a sé: indica un dissenso molto più vasto sull'intera politica italiana di fronte alla guerra, tanto che lo scontro si riproporrebbe su un tema anche più nevralgico, quello delle armi all'Ucraina, se il governo, previdente, non avesse scritto il dl Ucraina mettendo le cose in modo da non dover più chiedere autorizzazioni alle Camere sull'invio delle armi sino al prossimo 30 dicembre. Se la guerra proseguirà e quando, tra poco, la crisi inizierà a mordere davvero, è probabile che dell'unità della maggioranza resti ben poco.