SE NON AVESSE CHIESTO IL RIMPATRIO SAREBBE GIÀ LIBERO

Condannato all’ergastolo per omicidio dal Tribunale di Monaco, dopo

15 anni avrebbe potuto chiedere la libertà condizionale, mentre da noi deve attendere 26 anni. La Cassazione ha rigettato il suo ricorso. All’ergastolo in Germania chiede il trasferimento, ma in Italia scopre un regime più rigido

Un italiano è stato condannato all’ergastolo in Germania, dopodiché aveva acconsentito al trasferimento nel nostro Paese senza sapere che, mentre dopo 15 anni avrebbe potuto chiedere l’accesso alla libertà condizionale, ciò non sarebbe potuto avvenire in Italia. Sì, perché da noi – e parliamo dell’ergastolo “normale” – si può fare richiesta dopo 26 anni. Per questo i suoi legali hanno fatto ricorso per la violazione del principio di prevedibilità della pena e pari gravità e afflittività della sanzione nel riconoscimento della sentenza straniera da eseguire in Italia. La Cassazione, con la sentenza 41552/ 22, ha rigettato il ricorso.

Cosa è accaduto? Roberto P., classe 1971, tramite il suo difensore propone ricorso straordinario per errore di fatto avverso la sentenza pronunciata in data 18 ottobre 2021 dalla Corte di Cassazione; con la citata decisione la sesta sezione penale ha rigettato il ricorso avverso la sentenza con la quale, in data 29 aprile 2021, la Corte di Appello di Catanzaro ha accolto la richiesta, avanzata dal Procuratore Generale, di riconoscimento della sentenza irrevocabile emessa in data 24 novembre 2011 dal Tribunale di Monaco di Baviera con la quale l’uomo è stato condannato all'ergastolo per il reato di omicidio volontario.

In sostanza, Roberto P. lamenta l'omessa considerazione, da parte della Corte, dei motivi nuovi depositati in data 29 settembre 2021 aventi a oggetto l'asserita mancata informazione del ricorrente in ordine alle conseguenze del suo trasferimento in Italia sul regime esecutivo della pena inflittagli in Germania. Con tali motivi nuovi la difesa si è appunto lamentata che l’uomo non era stato correttamente informato che il suo trasferimento in Italia avrebbe determinato l'assoggettamento alla normativa italiana in materia di liberazione condizionale, così compromettendo la posizione penale assunta in Germania. Tale difetto di informazione, desumibile dalla lettura degli atti ed in particolare del verbale di audizione di Roberto P., avrebbe determinato una evidente violazione dei diritti di difesa del ricorrente e si pone in violazione del principio di prevedibilità previsto dall'art. 7 della CEDU e correlato agli articoli 3, 25, 13 e 27 della Costituzione e del principio del legittimo affidamento nei confronti della giustizia, violazione da cui deriva la nullità assoluta ed insanabile della sentenza di riconoscimento.

In sostanza, secondo la difesa, se il Roberto P. fosse stato correttamente messo a conoscenza delle conseguenze negative in tema di liberazione anticipata derivanti dalla presentazione di richiesta di trasferimento in Italia, avrebbe «atteso prima di procedere alla richiesta di trasferimento». A giudizio del ricorrente, la rilevanza e potenziale decisività del motivo nuovo di cui si è trattato e l'assoluta carenza motivazionale sul punto da parte della Corte di Cassazione, carenza conseguente all'omessa valutazione di scritti difensivi consente quindi il superamento del limite del giudicato dando accesso alla revisione.

L’uomo aveva chiesto la revoca della sentenza della Cassazione avverso la pronuncia della Corte di appello che aveva accolto la richiesta di riconoscimento della sentenza straniera in quanto, com’è detto, la Suprema Corte non aveva considerato la memoria difensiva. Con la pronuncia recente, la Cassazione ha dato torto al ricorrente escludendo una violazione della Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale ( Strasburgo, 20 aprile 1959, ratificata ed eseguita con legge n. 215 del 23 febbraio 1961) per il fatto che la pena inflitta dall’autorità giudiziaria tedesca ( ergastolo con possibilità di libertà condizionale dopo aver scontato 15 anni di reclusione) era stata trasformata in ergastolo, versione italiana e decisamente più dura visto che, com’è detto, un condannato al fine pena mai deve attendere almeno 26 anni per poter fare richiesta del beneficio. Questo per la Suprema Corte non è una violazione dell’articolo 735, comma 3, c. p. p. il quale prevede che «in nessun caso la pena così determinata può essere più grave di quella stabilita nella sentenza straniera» perché in Italia non è stata prevista «l’applicazione di una pena più grave di quella inflitta in Germania» e perché anche in Italia è possibile applicare istituti che permettono al condannato di non scontare l’intera pena. Di conseguenza, la Cassazione ha escluso la violazione dell’art. 735 e della Convenzione di Strasburgo nella parte in cui essa impedisce il trasferimento in un altro Paese se ne deriva un aggravamento «della posizione penale del detenuto».