Onore al Fatto Quotidiano che ha riportato la verità nuda e cruda sulla decisione – seppur legittimamente criticandola - della Cassazione, poco onore a un articolo apparso su Repubblica dove si dice che i giudici supremi avrebbero confermato la sentenza d’appello sulla (non) trattativa Stato-mafia.

Sfugge che gli ermellini hanno in sostanza accolto il ricorso che hanno fatto gli ex Ros Mario Mori e Giuseppe De Donno tramite gli avvocati difensori Basilio Milio e Francesco Romito. Da “il fatto non costituisce reato” a non “aver commesso il fatto”. Ed è la formula richiesta dal ricorso di chi è stato accusato di aver veicolato la minaccia mafiosa ai due governi del 1992-93.

Rimane però la verità storica, ovvero che la trattativa c’è stata? Assolutamente no. Basterebbe rileggere il ricorso ben argomentato dagli avvocati difensori, tra l’altro quasi sovrapponibile alla requisitoria della procura generale della Cassazione. Ecco i passaggi cruciali della sentenza d’appello evidenziati: “altamente probabile - ma non più di tanto”, “se tutto questo è vero”, “ipotesi qui lumeggiata”, “né vi sarebbe”, “appare”, “si volesse accedere a questa ipotesi ricostruttiva”, “si sarebbe trattato”, “in ipotesi”, “è davvero arduo credere che…”.

Proprio nei punti fondamentali per stabilire se i fatti ricostruiti dal teorema siano validi, emerge la mancanza di qualsivoglia certezza. Tutto al condizionale. La verità giudiziaria è stata stabilita dalla Cassazione. La verità storica non si fa in formula dubitativa e piena di congetture. Quando si afferma ogni volta che i fatti - al di là dell’esito giudiziario - sono comunque quelli teorizzati dall’accusa, c’è uno Storico che muore.