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Paola Severino, ex ministro della Giustizia
«Questa polemica faccio fatica a capirla: la riforma Cartabia è stata votata a larga maggioranza, anche dai 5 Stelle. E poi bisogna ricordare che una sentenza di patteggiamento non è un’ammissione di colpevolezza». Il senatore di Forza Italia Pierantonio Zanettin va per le vie brevi: quella sugli effetti della legge Cartabia sulla incandidabilità prevista dalla norma Severino è una polemica senza senso. Una polemica che si basa su un assunto: «In Parlamento rientreranno i ladri», scriveva ieri il Fatto Quotidiano, sulla scorta dell’idea che una sentenza di patteggiamento equivale ad un’ammissione di colpevolezza e poco importa se ciò rappresenta una banalizzazione della realtà. Lo ricordava bene, sempre ieri, Vitalba Azzollini su Domani: a tale rito alternativo premiale non ricorre solo chi è colpevole e vuole “farla franca”, ma anche chi, pur innocente, è consapevole che «una sentenza di assoluzione sarebbe difficile da ottenere», quando non si dispone di «argomenti adeguati» o «risorse sufficienti» per affrontare un processo.
Le conseguenze di un procedimento spesso interminabile, specie se innocenti, sono note a tutti: carriera distrutta e reputazione rovinata. Proprio per tale motivo il dibattito sulla legge Severino merita di essere riaperto. La riforma Cartabia aveva uno scopo ben preciso: ridurre i tempi dei processi, per rispondere alle richieste dell’Europa e garantire all’Italia l’accesso ai fondi del Pnrr. Sicché l’obiettivo principale, anche per il passaggio che oggi incide sull’incandidabilità, è stato quello di svuotare il più possibile i Tribunali.
Il dibattito in corso parte invece dal presupposto della legittimità del sospetto, sempre e comunque. Ciò ignorando un problema: è giusto subire uno stop forzato - che spesso diventa definitivo - nel caso in cui un politico venga condannato ingiustamente? In un periodo di ampio dibattito sui temi della giustizia, la discussione sulla legge Severino langue. E attualmente l’unica proposta depositata è quella del Pd, a prima firma Anna Rossomando, secondo cui non sono «convincenti le argomentazioni a favore dell'abrogazione dell'intero testo», anche all’esito della bocciatura del referendum. L’intento è correggere un punto specifico, ovvero i 18 mesi di sospensione attualmente previsti dalla norma, che rappresentano «una lesione spesso irreparabile nel lavoro di un sindaco alla guida di una comunità», aveva spiegato in conferenza stampa il senatore Dario Parrini. Da qui la necessità di modificare tale previsione, per «un nuovo bilanciamento che rispetti parimenti le esigenze di legalità e il principio di garanzia costituzionale di cui all'articolo 27 della Costituzione».
Ma qual è la posizione della maggioranza? La Lega, come noto, ha promosso i referendum di giugno scorso, che prevedevano, tra le altre cose, anche l’abolizione di tale norma. Favorevole anche Forza Italia, secondo cui, stando alle parole pronunciate dal viceministro della Giustizia Francesco Paolo Sisto all’assemblea dell’Anci, tale norma «ingiustamente penalizza pubblici amministratori condannati con sentenza di primo grado e che devono subire conseguenze prima che la sentenza diventi definitiva». Diversa la posizione di Fratelli d’Italia: Giorgia Meloni, durante la raccolta firme per i referendum, aveva infatti “eliminato” dai suoi gazebo tale quesito, in quanto cancellare questa norma, aveva evidenziato, sarebbe «un passo indietro nella lotta alla corruzione e rischierebbe di dare il potere ad alcuni magistrati di scegliere quali politici condannati far ricandidare e quali interdire dai pubblici uffici». Una posizione che non combacia con quella espressa in più occasioni dall’attuale ministro della Giustizia, Carlo Nordio, secondo cui tale legge «non serve assolutamente a nulla e confligge con la presunzione di innocenza che è prevista dalla Costituzione». Per il deputato di Azione Enrico Costa, «le polemiche sono infondate. Soprattutto se sollevate dai partiti che hanno votato la legge».
Il vice segretario di Azione nel 2021 aveva invitato il governo a studiare modifiche nel punto in cui la norma prevede la sospensione degli amministratori locali dopo la condanna in primo grado per abuso di ufficio. «La legge Severino prevede che una condanna in primo grado per abuso d’ufficio porti alla sospensione dalla carica scriveva qualche tempo fa su Twitter -. I condannati definitivi per abuso d’ufficio sono l’ 1% degli indagati. Ergo, l’avversario politico si combatte, e spesso si abbatte, a suon di esposti alla Procura».
Netta la posizione del M5S: «Per noi la Severino non va toccata - spiega la deputata Stefania Ascari -, quanto alla questione degli effetti della riforma Cartabia sulla legge Severino, riteniamo sbagliata l’interpretazione fatta dal Viminale. In ogni caso, già in sede di esame del decreto legislativo attuativo della legge Cartabia avevamo contestato la nuova normativa sul patteggiamento. Inoltre, così si crea una disparità di trattamento tra chi ha avuto accesso al patteggiamento e chi no per lo stesso reato».