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LA PROTESTA
Le camere penali calabresi hanno proclamato l’astensione dal lavoro per il 14 e 15 luglio in quanto ritengono che in Calabria non ci sia la più possibilità di esercitare la professione di penalista essendo venuti meno i presupposti su cui si fonda uno Stato di diritto. Normalmente quando pensiamo ad un Stato in cui non esistono più le garanzie fondamentali ci viene in mente il Cile di Pinochet.
A In nome dell’antimafia hanno massacrato lo Stato di diritto. I penalisti hanno ragione
La denuncia delle Camere penali è sacrosanta, la giusta lotta alla ’ ndrangheta è diventata il pretesto per erodere i diritti. È una vera strategia della tensione
Le camere penali calabresi hanno proclamato l’astensione dal lavoro per il 14 e 15 luglio in quanto ritengono che in Calabria non ci sia la più possibilità di esercitare la professione di penalista essendo venuti meno i presupposti su cui si fonda uno Stato di diritto. Normalmente quando pensiamo ad un Stato in cui non esistono più le garanzie fondamentali dei cittadini ci viene in mente il Cile di Pinochet, la dittatura argentina o, in tempi più recenti, la Turchia di Erdogan o la Russia di Putin.
In Italia esistono certamente pericoli per la democrazia, provenienti soprattutto dallo strapotere di alcune corporazioni che operano all’interno dello Stato, ma, fortunatamente, al potere non ci sono i “colonnelli”.
In Calabria non siamo ai colonnelli ma a qualcosa che se non è molto somiglia. Andiamo con ordine: Trenta anni fa la ndrangheta era una organizzazione barbara e sanguinaria che si era appena lasciata alle spalle l’odiosa stagione dei sequestri di persona e che aveva messo a ferro e fuoco la Regione con le ricorrenti guerre di mafia. Era ancora solo una setta criminale odiata e sostanzialmente isolata in Calabria più che altrove. In quel momento storico lo Stato avrebbe potuto e dovuto circondarla e sradicarla dal territorio calabrese ed invece ci fu ' chi' operando dall’interno dell'apparato statale riuscì a convincere tutti ( o quasi) che per sconfiggere la ndrangheta sarebbe stato necessario sacrificare lo Stato di diritto.
Iniziò la stagione della pesca con le reti a strascico. Tutte sostanzialmente fallite dopo lacrime, sangue e galera imposte a migliaia di cittadini innocenti.
Per i nuovi “strateghi” dell'antimafia importante non era sconfiggere la ndrangheta ma dare la sensazione che si stesse combattendo una titanica lotta di pochi eroi contro orde di assassini. In poco tempo si è allestito con sapiente regia un teatro : sirene spiegate nel cuore della notte, foto sui giornali, arresti di massa, attacco al cuore della democrazia elettiva con scioglimenti a catena dei consigli comunali e criminalizzando ogni voce critica con il “dire e non dire” e sostituendo le prove processuali con categorie impalpabili come l’appartenenza alla “zona grigia” o il “reato” di parentela o di amicizia.
“Facimmu ammuinu” fu la parola d’ordine ed ammuino fu fatto. E fu un gioco da ragazzi persuadere i cittadini perbene ed in buona fede sulla necessità di scegliere tra ' ndrangheta e barbarie' da una parte e ' libertà, dignità giustizia' dall’altra.
Molti calabresi credettero nella buona fede degli antimafiosi di professione ed oggi si trovano a dover convivere con una ndrangheta cento volte più ricca e potente rispetto a trenta anni fa, e con un apparato repressivo più i più oppressivi del Mediterraneo.
Non ci credete?
Due soli esempi: ieri s’è concluso il processo “bellu lavuru” che ha preso le mosse 15 anni fa tra squilli di tromba e suono di fanfara. Una retata con decine di arrestati in una sola notte e che veniva propagandata come un duro colpo alla ndrangheta. Ieri la sentenza: dei diciannove imputati ben quindici sono stati riconosciuti innocenti, quattro condannati. Meno del 20%. Alla fine della fiera ci troviamo con 15 persone tenute per tanto tempo nelle sezioni di massima sicurezza delle galere e oggi risultati estranei ad ogni sodalizio mafioso. Meno grave ma più significative le motivazione pubblicate nei giorni scorsi sui motivi che hanno portato allo scioglimento del consiglio comunale di Portigliola, nella Locride. Il sindaco, gli assessori, i consiglieri comunali sono tutti incensurati. Nessuno è stato mai processato e tantomeno ha ricevuto una condanna.
Ma spunta qualche rapporto di polizia che non riguarda direttamente gli amministratori di Portigliola ma loro parenti o amici. Ebbene il rapporto di polizia ha più valore delle sentenze. Alla luce di quanto abbiamo appena detto vi domando: la Calabria è o non è uno Stato di polizia anche se non vige il coprifuoco e non ci sono militari ad ogni crocicchio?
La velenosa equazione “ndrangheta = Stato di diritto” s’è dimostrata falsa ed interessata ed ha prodotto solo “giustizia spettacolo” con un sistematico sacrificio di innocenti, il crollo della qualità dell’impegno politico con il progressivo emergere di una classe “politica” serva e subalterna ai nuovi poteri, uno spreco di pubblico denaro che se impiegato diversamente avrebbe potuto dare sollievo ai tanti ammalati calabresi. Intanto però lo Stato ha perso gran parte della sua base sociale perché nessuno è disposto a riconoscere la legittimità d’uno Stato che non rispetta le sue stesse regole.
Rispetto a tutto ciò le Camere penali hanno deciso due giorni di astensione dal lavoro. Un notevole passo avanti anche se tradivo e forse insufficiente. Il “blocco d’ordine” ( e di potere) difficilmente mollerà la presa. E comprende perfettamente che per non far scoprire il gioco deve alzare la posta attraverso la strategia della tensione che come un Moloch insaziabile si alimenta con nuove retate, manifestazioni insensate, processi- spettacolo, misure di prevenzione comminate col massimo arbitrio.
I penalisti con la loro azione hanno rotto un muro di silenzio e con la loro azione possono far da lievito per la formazione d’un blocco democratico che coinvolga i cittadini e faccia luce sulla realtà d’una Regione tenuta alla catena e senza luce per tanto tempo.
Noi ci abbiamo provato per decenni e, spesso, in perfetta solitudine. Una lotta di civiltà che va molto oltre la giustizia e che abbiamo combattuto con tutte le nostre forze pur sapendo di non poter vincere.