Il Csm incassa una nuova sconfitta davanti ai giudici amministrativi. Questa volta ad essere annullata è la nomina di Alfredo Pompeo Viola, già segretario generale del Consiglio superiore della magistratura, a procuratore generale aggiunto della Corte di Cassazione, nomina decisa dal plenum il 20 settembre 2023. E ciò perché, secondo il Tar del Lazio, il Csm avrebbe scelto «un magistrato non legittimato al posto», in quanto, al momento della presentazione della domanda di partecipazione alla selezione, ricopriva l’incarico di Segretario generale di Palazzo dei Marescialli, violando così l’articolo 41 della legge 195 del 1958.

A ricorrere contro la nomina di Viola - votata all’unanimità - sono stati Nicola Lettieri (sostituto procuratore generale in Cassazione) e Giulio Romano (magistrato dell’ufficio del Massimario e del ruolo a piazza Cavour). Succo dei ricorsi proprio la violazione della legge 195/ 58, in base alla quale «i magistrati addetti alla segreteria del Consiglio superiore non possono partecipare ai concorsi o agli scrutini, salvo che abbiano cessato di far parte della segreteria almeno un anno prima della scadenza del termine stabilito per presentare la domanda di partecipazione al concorso o allo scrutinio, ovvero che il Consiglio, della cui segreteria facevano parte, sia cessato prima della scadenza anzidetta». Un divieto che risponde all’esigenza di evitare che tra chi deve esaminare e giudicare e colui che è sottoposto ad esame o giudizio ci siano «vincoli che possano turbare la serenità della decisione». Per Viola - e per il Csm - tale norma sarebbe stata abrogata da norme successive, in particolare dalle leggi 570 del 1966 e 831 del 1973, che avevano fatto venire meno la progressione in carriera per concorsi ed esami.

Inoltre, secondo Viola, le riforme Castelli- Mastella hanno abolito il sistema di progressione di carriera per concorsi e scrutini, sostituendolo con il nuovo sistema di valutazione di professionalità, basato su sette valutazioni quadriennali. Un’implicita abrogazione, dunque, alla quale il Csm si è adeguato, come dimostra, tra gli altri casi, quello di Giulio Adilardi, transitato direttamente da Palazzo dei Marescialli alla presidenza del Tribunale di Rovereto.

Secondo i ricorrenti, però, «il persistere di tale interesse ad evitare qualsivoglia rischio di “non equanimità” sarebbe confermato dall’introduzione dell’articolo 38 della legge numero 71 del 2022 che ha disposto che “prima che siano trascorsi quattro anni dal giorno in cui ha cessato di far parte del Consiglio superiore della magistratura, il magistrato non può proporre domanda per un ufficio direttivo”».

Un concetto ribadito anche dal Tar del Lazio, secondo cui l’articolo 41 della legge 195/ 1948 «non è stato abrogato in modo espresso dalle varie disposizioni normative che, nel corso del tempo, hanno modificato e integrato» tale norma, motivo per cui «è ancora – formalmente – parte integrante dell’ordinamento vigente». E a nulla vale la modifica del sistema di progressione di carriera: l’articolo 41 - scrivono infatti i giudici amministrativi - si riferisce genericamente ai “concorsi”, senza fare alcun rinvio espresso alle specifiche procedure disciplinate dall’articolo 131 del testo originario del r. d. numero 12 del 1941. «Il fine perseguito dall’articolo 41 in esame - si legge nella sentenza - è chiaramente quello di evitare che tra coloro che partecipano ad una selezione concorsuale e coloro che sono tenuti ad esaminarli vi possano essere delle interrelazioni che siano, anche solo astrattamente, idonee a minare la terzietà e l’imparzialità di questi ultimi.

Si consideri, a titolo di esempio, che proprio nel caso di specie, il dottor Viola, nella sua qualità di segretario generale del Csm, ha sottoscritto l’atto di interpello della procedura di cui è causa, che lo ha visto poi prevalere nella comparazione rispetto agli altri candidati». La riforma del 2022, aggiungono i giudici, non ha eliminato l’articolo 41, prevedendo per i componenti togati del Csm, «il divieto di partecipazione ai concorsi per il conferimento di incarichi direttivi o semidirettivi prima di quattro anni dal giorno in cui hanno cessato di far parte del Csm (salvo il caso in cui l’incarico direttivo o semidirettivo sia stato ricoperto in precedenza)».

Una modifica che «conferma ulteriormente la volontà del Legislatore di prevenire ogni ipotesi di possibile interferenza nell’attribuzione degli incarichi a magistrati facenti parte del Csm e, di conseguenza, indirettamente esclude che possa predicarsi un’abrogazione implicita della preclusione annuale per i segretari del Csm». Che ora dovrà rifare tutto.