Oggi la Corte Costituzionale si riunirà in Camera di Consiglio per decidere, tra l’altro, su due questioni relative all’articolo 4- bis, comma 1 dell’ordinamento penitenziario che sarebbe in contrasto con gli articolo 3 e 27 della Costituzione. Per entrambi i casi il relatore sarà Zanon. Le parti non si sono costituite. Precisiamo subito: non si tratta di detenuti condannati all’ergastolo ostativo ma le decisioni assunte avrebbero un effetto anche su di loro.

La prima ordinanza è la 194/ 2021 che esamina l’articolo in questione nella parte in cui non prevede che ai detenuti per i delitti ivi contemplati, diversi da quelli di cui all’articolo 416- bis del codice penale e da quelli commessi per agevolare le associazioni della criminalità organizzata, possa essere concesso l’affidamento in prova al servizio sociale, anche in assenza di collaborazione con la giustizia allorché siano stati acquisiti elementi tali da escludere sia l’attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti. A sollevare la questione era stato il Tribunale di Sorveglianza di Perugia (estensore Gianfilippi) a settembre 2021.

Il caso: R. C. era detenuto per associazione a delinquere volta al traffico di stupefacenti. Come sappiamo la sentenza 253/ 2019 della Consulta ha deciso che anche ai detenuti per i delitti di cui all’art. 416 - bis possano essere concessi permessi premio pure in assenza di collaborazione con la giustizia, allorché siano stati acquisiti elementi tali da escludere sia l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti. In via consequenziale il Giudice delle leggi ha esteso tale possibilità anche ai condannati per reati diversi da quelli di mafia.

Alla luce di un’ampia istruttoria il magistrato di sorveglianza concedeva a R. C. il richiesto permesso premio. Poi il recluso chiedeva di proseguire nel proprio percorso risocializzante mediante la concessione di una ampia misura alternativa, come l’affidamento in prova al servizio sociale, per dedicarsi ad una attività lavorativa presso un centro estetico. Purtroppo la legge non permette di concedere, nonostante la medesima istruttoria, tale beneficio. E quindi il Tribunale di Sorveglianza ha rimesso la questione alla Corte Costituzionale.

Il secondo caso è l’ordinanza 62/ 2022 del magistrato di sorveglianza di Avellino del 16 febbraio 2022, concernente l’articolo 4- bis, comma 1, dell’ordinamento penitenziario nella parte in cui non prevede che possa essere concessa la semilibertà anche ai detenuti condannati che non abbiano prestato attività di collaborazione con la giustizia ma che abbiamo avuto accesso ai permessi premio. L. D. B. è stato condannato a dodici anni per reati legati alla droga. Il

4 febbraio 2022 presenta domanda di applicazione in via provvisoria ed urgente di semilibertà, prospettando a sostegno della misura la possibilità di svolgere attività lavorativa presso un'officina meccanica. «Pur in presenza di tutti i presupposti di merito, l'istanza andrebbe allo stato dichiarata inammissibile, visto che l'istante è ancora ristretto in espiazione della quota di pena relativa al reato ostativo e non ha mai prestato collaborazione; dunque non vi è altro modo per superare l'inammissibilità se non quello di sollevare la questione di legittimità costituzionale sull'input dato dal difensore», scrive il magistrato perché, tra l’altro, «non è possibile interpretare estensivamente l'apertura operata per i permessi premio anche alla semilibertà».

Cosa potrebbe fare la Corte Costituzionale oggi? Probabilmente si appresta ad una decisione interlocutoria e a rinviare gli atti al tribunale e al magistrato di sorveglianza. Sarebbe la scelta più plausibile perché si tratta di valutare l’ambito di applicazione e gli eventuali dubbi di costituzionalità della nuova normativa, predisposta dal Governo Meloni. Ricalcherebbe quanto già fatto nel caso di Salvatore Pezzino quando a novembre ha restituito gli atti alla prima sezione penale di Cassazione. Tuttavia, se nel frattempo il condannato avesse scontato la pena ( come nel primo caso) e quindi non gli si potesse più applicare la normativa impugnata, verrebbe a mancare la rilevanza.

Pertanto il giudice a quo non potrebbe ridiscutere la questione e tutto finirebbe su un binario morto. Se invece fosse ancora recluso ( come pare per il secondo caso) il magistrato di sorveglianza potrebbe vedere se la nuova norma dà la possibilità di concedere il beneficio o potrebbe nuovamente rimettere gli atti alla Consulta.