«Le misure di prevenzione sono molto importanti nel contrasto alla criminalità organizzata di stampo mafioso», afferma l’ex procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo Federico Cafiero De Raho, attuale parlamentare del Movimento Cinque Stelle. Ritenute da sempre tra gli strumenti più efficaci nella lotta alla criminalità organizzata sul versante economico-finanziario che mira a colpire l’accumulazione dei capitali illeciti e la possibilità di riciclarli attraverso investimenti nel circuito legale, le misure di prevenzione hanno però spesso evidenziato elementi di criticità nella loro applicazione. Se il loro scopo dovrebbe essere quello di individuare i canali che consentono alle organizzazioni criminali di reinvestire i proventi delle attività illecite, non sono purtroppo pochi i casi in cui hanno invece determinato il fallimento di aziende e società che nulla avevano a che vedere con la mafia, gettando sul lastrico centinaia di famiglie.

Onorevole De Raho, per la sua esperienza, il sistema delle misure di prevenzione è efficace o necessita di correttivi?

Come ho detto, le misure di prevenzioni si sono rivelate di particolare efficacia. Ricordo, comunque, che l’impianto normativo è molto cambiato negli anni. Le leggi fondamentali sulle misure di prevenzione personali risalgono al 1956, quelle patrimoniali al 1965. Negli anni ci sono poi stati numerosi interventi di modifica che hanno conferito loro l'attuale fisionomia, notevolmente diversa dunque rispetto a quella originaria. Nel 1982, con la legge Rognoni-La Torre, c’è poi stato un cambio di passo per adeguare l'ordinamento alle mutate modalità operative delle organizzazioni mafiose.

Il meccanismo è sempre quello della sproporzione fra reddito e beni?

Sì. La mancanza di giustificazioni è un presupposto oggettivo per il sequestro e la confisca.

Nel 2021 il quadro normativo ha subito altre modifiche importanti.

Certo, il soggetto ora partecipa in prima persona. Per quanto riguarda le interdittive, ad esempio, esiste un contraddittorio preventivo dove il prefetto contesta formalmente gli elementi acquisiti. Il soggetto può quindi fornire tutti gli elementi giustificativi del caso. Il prefetto, dopo questo passaggio, emana un provvedimento con delle prescrizioni che danno vita a una sorta di “collaborazione”. Si tratto di un modello che prevede un controllo da parte di un Nucleo interforze. Lo scopo è evitare di bloccare l’operatività della società solo sulla base elementi di sospetto.

Rimane, comunque, sempre il tema di coloro che sono chiamati ad amministrare i beni. Molti i casi che hanno evidenziato una gestione non corretta.

Questo è un punto molto delicato. Quando era procuratore nazionale antimafia ho insistito perché venisse approntato un elenco degli amministratori giudiziari al fine di consentire un controllo circa la trasparenza dell'affidamento degli incarichi.

Come dovrebbe essere questo elenco?

Oltre all’indicazione dei soggetti idonei per titoli ed esperienza, deve essere riportato l’affidamento dell’incarico nelle varie procedure di sequestro e confisca. Il punto fondamentale riguarda l'indicazione dei corrispettivi percepiti e quanti incarichi si hanno.

E in caso si verifichino situazioni dannose per il bene che istituti si possono immaginare per consentire di recuperare la sua piena funzionalità?

Premesso che mi pare di tutta evidenza che si debba riparare il danno che è stato prodotto, io pensavo ad una legge ad hoc che prevedesse dei ristori per le società, come una apertura di credito garantita dallo Stato per riprendere l’attività e quindi sopperire alla gestione non corretta degli amministratori. In queste situazioni è infatti fondamentale ripartire dalla capacità economica della società.

Un altro aspetto degno di nota riguarda proprio la fine della capacità produttiva dell’azienda oggetto di tali misure.

Anche questo è un tema complesso. Pensiamo al supermarket, dove si comprano e vendono le merci. Non dovrebbero esserci problemi. Ed invece si assiste al tracollo di queste attività. Il motivo è dovuto alla stessa organizzazione criminale che non consente di fare acquisti. I mafiosi sono molti attenti in questi casi e “consigliano” ai clienti di non comprare più in quel supermarket e di andare altrove.

Come risolvere questo problema?

Ho proposto di verificare e di analizzare se il bene possa liberamente continuare ad esercitare la propria attività. Ma non solo. Pensiamo ai beni che vengono vandalizzati e distrutti dalla mafia per impedire loro di avere una finalità sociale.

Un caso di scuola riguarda l’edilizia. Vedasi le aziende che producono calcestruzzo.

Certo. Anche in questo caso, nessuno lo compra e ci si rivolge altrove. Spesso, poi, tramite dei prestanome, la mafia avvia altre attività di questo genere così da raggiungere comunque i risultati economici sperati.

Un punto debole del sistema?

Fino a che il bene non viene definitivamente confiscato ed entra così a far parte del patrimonio dello Stato.